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© Pompeii Commitment. Archaeological Matters, un progetto del Parco Archeologico di Pompei, 2020. Project partner: MiC.
Tutte le immagini d’archivio o realizzate al Parco Archeologico di Pompei sono utilizzate su concessione di MiC-Ministero della Cultura-Parco Archeologico di Pompei. È vietata la duplicazione o riproduzione con qualsiasi mezzo.

Simone Fattal. Pompei, oggi

Commitments 05    21•01•2021

Simone Fattal

1. Dettaglio:

The Roman World, 2020
collage su cartone trovato
39 x 36 cm

2. In senso orario dall’alto a sinistra:

Under the Palm Tree, 2020
collage su cartone trovato
36 x 51 cm

La Chouette Aveugle (The Blind Owl), 2020
collage su cartone trovato
57 x 76 cm

Hommage à Massimo Osanna, 2020
collage su cartone trovato
48 x 100 cm

The Roman World, 2020
collage su cartone trovato
39 x 36 cm

A Walk Through the Ruins, 2020
collage su cartone trovato
31,5 x 41 cm

3. Viste di:

Looking at Pompei, 2020
collage su cartone trovato
37 x 10 x 10 cm

Per tutte le immagini: Courtesy l’Artista e kaufmann repetto, Milano, New York

Simone Fattal ha creato una serie di nuovi collage su cartone piatto e scatole di cartone, un materiale d’uso comune disponibile nel suo studio, accompagnati da appunti alla maniera di un journal intime direttamente ispirato alla sua visita a Pompei nel 2019. “A differenza di tutti gli altri siti archeologici”, afferma Fattal, “possiamo dire che Pompei offre già di per sé una ricostruzione. Perché questo luogo non è stato distrutto dal tempo, ma da un momento.” I suoi collage e i suoi testi sono intrecciati in una riflessione sui molteplici significati e le possibili interpretazioni di questa antica città come luogo in cui diverse culture mediterranee coesistevano, fondendosi tra di loro, e si congelarono nel tempo completamente fino alla riscoperta di Pompei iniziata nel 1748. Cortocircuiti temporali si dispiegano a livello dell’immagine – un tratto ricorrente nella pratica di Fattal – dando forma tangibile all’interpretazione che l’artista dà della storia come movimento continuo e creazione ingarbugliata. Nei suoi collage, Fattal affianca frammenti visivi appartenenti ad aree geografiche, sistemi di credenze e periodi diversi; tra questi vi sono, ad esempio, il mosaico della Casa di Orione a Pompei – una rappresentazione di uno dei più oscuri miti del mondo antico, in questo caso probabilmente proveniente dall’Egitto – e il mosaico Memento Mori, ora al Museo Archeologico di Napoli, che simboleggia la natura mutevole del Destino, come pure l’inevitabilità della Morte, che rende tutti uguali. Questi riferimenti pompeiani sono affiancati da immagini ritagliate di altri siti archeologici, statue, oggetti e iconografie di antiche civiltà del Mediterraneo (dalla Grecia al Nord Africa), iconici dipinti storici europei come I Quattro Filosofi di Peter Paul Rubens (1611-12) oltre a forme antiche di espressione artistica quali i dipinti eseguiti con le mani nella Cueva de las Manos in Argentina, datati 7300 AC, oppure immagini e manufatti contemporanei. Nelle parole dell’artista: “in genere le rovine nel mondo possono essere analizzate a molti livelli, ma ci sono frammenti di tutti i periodi mescolati insieme, o stratificati. Bisogna ricostruirne – livello su livello, frammento per frammento – le origini, le relazioni e le influenze, la sequenza nel corso del tempo. A Pompei, invece, l’immagine è fissa.” “L’immagine fissa” di Pompei proposta da Fattal mette, quindi, in risalto l’eredità duratura delle intense e reciproche influenze interculturali di un tempo antico – un tempo malleabile in cui, sempre secondo le sue parole, Pompei è “anche l’Egitto, ma anche la Siria, il Libano e l’Asia minore. E nonostante tutte queste diversità e differenze, apparentemente tutti vivevano insieme in armonia. Può certamente essere un modello per il nostro presente.” Mentre esploriamo le complessità del passato di Pompei nel contesto di Pompeii Commitment, ci interroghiamo e impariamo da tale ipotesi. SB-AV

Immagine in home page: Simone Fattal, The Roman World, 2020. Courtesy l’Artista

Simone Fattal (Damasco, 1942) è nata in Siria e cresciuta in Libano, dove ha studiato filosofia all’École des Lettres di Beirut. Si è poi trasferita a Parigi, dove ha proseguito le sue indagini filosofiche alla Sorbona (Università di Parigi). Nel 1969, è tornata a Beirut e ha iniziato a lavorare come artista visiva, esponendo i suoi dipinti fino all’inizio della guerra civile libanese. Ha lasciato il Libano nel 1980 e si è stabilita in California, dove ha fondato la Post-Apollo Press, una casa editrice specializzata in opere letterarie innovative e sperimentali. Nel 1988 si iscrive all’Art Institute di San Francisco, per tornare alla sua pratica artistica e a un ritrovato impegno nella scultura e nella ceramica. Negli ultimi cinquant’anni, il lavoro poliedrico di Fattal ha esplorato l’impatto dello sradicamento così come l’episteme dell’archeologia e della mitologia, attingendo da una serie di fonti tra cui narrazioni di guerra, pittura paesaggistica, storia antica e poesia. L’immaginario dell’artista fonde la storia con la memoria, affrontando le perdite dovute al trascorrere del tempo e rivelandone le ripetizioni. Caratterizzate sia da forme astratte che figurative, le sue opere sono senza tempo e universali, ma radicate in una dimensione a cavallo tra il contemporaneo e l’arcaico, tra la realtà e i suoi archetipi. Fattal attualmente vive a Parigi. Le sue opere sono ospitate in diverse collezioni pubbliche, come il Centre Pompidou, Parigi, il Museo nazionale del Qatar, Doha, la Sharjah Art Foundation, il Museo Sursock, Beirut e il Museo Yves Saint Laurent a Marrakech. Le sue più recenti personali si sono tenute a: MoMA PS1, New York; Bergen Kunsthall (2019); Musée Yves Saint Laurent, Marrakech (2018); Musée Departemental d’Art Contemporain Chateau de Rochechouart (2017); Sharjah Art Foundation (2016).

La storia come collage

  21 • 01 • 2021

Un tempo malleabile fatto di frammenti e storie appartenenti ad aree geografiche, sistemi di credenze e periodi diversi

Historiae05

Wilhelm Huber, “Vedute degli scavi di Pompei”, 1818-1819


Inventario05

Frammenti di mosaici e affreschi


Pompeii Commitment

Simone Fattal. Pompei, oggi

Commitments 05 21•01•2021

Pompei, oggi.

Ci sono voluti secoli per tornare a vedere Pompei.

Ma questa parola e l’evento sono sempre stati presenti nell’immaginario delle persone in ogni parte del mondo.
Anche se dimenticata, quando è stata “riscoperta” tutti sapevano di cosa si trattava, poiché la distruzione di Pompei ha lasciato una cicatrice nell’immaginario di ognuno di noi.
Perché?

Pompei rappresenta il significato della parola destino.
Succede qualcosa che viene dal nulla e che non può essere fermato.

Un evento che riguarda tutti e a cui nessuno può sfuggire.

Ci sono voluti anni per iniziare a dissotterrare il sito. Ma ogni volta che qualcosa è stato portato alla luce, le persone si sono trovate di fronte a ciò che significa affrontare un istante, nel proprio destino.
A differenza di tutti gli altri siti archeologici, possiamo dire che Pompei offre già di per sé una ricostruzione. Perché il luogo non è stato distrutto dal tempo, ma da un momento.
Il posto è congelato in quell’istante. E la distruzione lo ha conservato.
Un altro paradosso.
Protetto dalla lava e dai detriti, non è stato saccheggiato e non è scomparso nel corso dei secoli, e quando è riapparso, è riapparso intatto. Uno per uno i monumenti sono emersi, così com’erano quel giorno.

Oggi 22 novembre 2020, leggo al volo su un cellulare questa notizia: due nuovi cadaveri trovati a Pompei…

Nel 79 DC, l’intera città di Pompei fu colpita da un’esplosione, possiamo oggi qualificarla come un’esplosione nucleare, che distrusse completamente la città in poche ore, o in due-tre giorni.
Sentirono il rombo e il rumore, la terra si agitava e gemeva come mai in precedenza. Nessuno capì cosa stava succedendo e cosa sarebbe successo.

Una donna eminente, abbastanza importante da inviare un emissario nelle prime ore dell’incertezza e delle paure che si stavano affacciando, dei segni incomprensibili ma abbastanza pericolosi da preoccupare — ripeto, mandò un emissario a Plinio il Vecchio, che era il Prefetto della flotta, di stanza a Stabia, nelle vicinanze — perché venisse a salvarla. Anche se partì subito, Plinio non ce la fece, ma morì in viaggio, probabilmente a causa di un infarto dovuto ai fumi e altri materiali pericolosi, e come lui morì anche la donna.

La morte prese forme diverse.

Fu distrutta in un istante? No, ma quello che vediamo è un istante.
Un momento nel tempo, un momento nella storia impossibile da testimoniare altrove. Un istante congelato per l’eternità. Un istante che comprende tutto.

La vita di una città. Le sue case, i monumenti, i templi: c’è tutto, così com’era, nello stesso giorno. Come se fosse stata fotografata quel giorno.
Le persone sono state sorprese mentre erano affaccendate nella loro vita di tutti i giorni.
O mentre cercavano di fuggire.
Assistiamo alla loro paura, alla disperazione. Alla resa.

Ci troviamo testimoni anche della loro intera civiltà.
Anche questo è raro.
In genere le rovine nel mondo possono essere analizzate a vari livelli, ma ci sono frammenti di tutti i periodi mescolati insieme, o stratificati. Bisogna ricostruirne – livello su livello, frammento per frammento – le origini, le relazioni e le influenze, la sequenza nel corso del tempo. A Pompei, invece, l’immagine è fissa.

Ho iniziato a scoprire Pompei visitando il Museo Archeologico di Napoli.

La prima cosa che mi ha colpito sono stati i dipinti. Nel complesso esprimono felicità.
Questi dipinti, che prefigurano a mio parere i dipinti del Rinascimento, riflettono armonia, pace e gioia di vivere. Donne, piante, fiori, musica, miti.
Pertanto, possiamo dire che la società di Pompei, ricca e diversificata, viveva felicemente. Commerciavano con tutti i porti e le città del Mediterraneo.
Vicini al mare, ma circondati da terra fertile, vino e olive e cereali, frutta: questi i loro prodotti e l’ambiente in cui operavano.

Un porto, aperto a tutti gli scambi e commerci, aperto a tutte le civiltà, a tutte le influenze. Persone diverse, provenienti da tutto il Mediterraneo, giunsero a Pompei, avviarono lì un’attività commerciale.
Marinai, mercanti.
E fondarono templi, stabilirono usanze.
Tutte queste culture diverse si influenzarono tra di loro.
Divinità maschili e femminili provenienti da tutto il Mediterraneo.
Le loro usanze vennero e rimasero, così come i loro artefatti.

C’era una vita politica, e vediamo e leggiamo slogan elettorali.
Una città cosmopolita. Felice.
Vediamo un numero insolito di case che appartenevano agli schiavi liberati. La teoria è che un certo numero di ricchi avessero già lasciato la città in seguito all’ultimo terremoto, dopo aver venduto le loro case agli schiavi liberati.
Spensierata e moderna.
Siamo testimoni della loro libertà sessuale, della diversità politica, della diversità etnica.
E dell’importanza delle donne a pieno titolo ricche e benestanti, che possedevano le loro case e le loro imprese — come indica l’esempio sopra riportato.
Di fatto siamo testimoni del loro modo di vivere.

L’Egitto è presente, così come la Siria, il Libano e l’Asia minore. E nonostante tutte queste diversità e differenze, apparentemente tutti vivevano insieme in armonia.
Può certamente essere un modello per il nostro presente.

Oggi tutte le grandi città europee hanno anch’esse una popolazione straordinariamente varia, ma questa realtà è accompagnata da gravi problemi. Al contrario, non sembra che loro avessero un problema con le minoranze.

L’arte era pompeiana, cioè romana, cioè italiana.
e come ho già detto, giungerà fino al Rinascimento.

Ci sono i templi ma anche le case.
E in queste case è rimasto tutto: utensili per cucinare, animali domestici, gioielli, perline, ciondoli, collezioni d’arte. Erano case patrizie che appartenevano a persone alquanto benestanti che collezionavano sculture e adornavano le pareti delle abitazioni con dipinti.

La vita nella sua ricchezza e varietà è stata catturata, permettendo a tutti noi di vederla e ammirarla.
Nessun’altra città nella storia antica si concederà al mondo, così tanto, così bene e senza artifici.

Ricca e varia, opulenta e piena di vita, Pompei è al contempo sinonimo di morte.
Questa è la lezione che apprendiamo: la morte è con noi e non può essere combattuta.

Abbiamo appena assistito a un’altra esplosione nucleare simile il 4 agosto scorso in Libano.

Alle 6 di sera, la morte ha colpito e lo ha fatto con violenza. Non è stata cancellata l’intera città, ma una città delle dimensioni di Pompei è stata “spazzata via” come a Hiroshima. Edifici e strade sono evaporate. Con un numero enorme di morti e feriti.

Non è stata la Madre Terra, che ringhiava dalle profondità delle sue viscere, ma la mano malvagia del male.

Due eventi opposti.

Questo mi porta alla mia scultura.
La mia scultura cerca di recuperare l’elemento vivo dell’attimo che ha portato la morte.
La mia scultura vuole che questi momenti vivano in eterno, rimanendo vicina quel luogo e a quel giorno, e desidera restituirli alla vita.

Ma cosa farei se dovessi realizzare un’opera o una mostra a Pompei?Comincerei con l’identificare il suo posto nel Mediterraneo.
Dovremmo, tutti dovrebbero, leggere il Declino e la caduta dell’Impero romano di Edward Gibbon; l’ho letto perché so che l’Impero romano è principalmente costituito da Siria, Egitto, Asia minore, Nord Africa. L’Impero romano si ampliò anche verso occidente fino alla Gran Bretagna, ma le influenze reciproche più intense e l’effetto duraturo ebbero luogo nel Mediterraneo.
Tutto ebbe inizio con l’ellenizzazione portata in Oriente da Alessandro Magno e dai suoi generali, continuando poi senza soluzione di continuità con l’avvento di Roma.
È qui che l’osmosi e la civiltà romana fiorirono e durarono più a lungo. È qui che sono stati realizzati i più grandi esempi dell’architettura romana, interpretati dall’Oriente: Baalbeck, Palmira, Bassora Iskisham, Cartagine…

Quando arrivai la prima volta all’aeroporto di Napoli a febbraio dell’anno scorso, poco prima dell’inizio della pandemia, notai una magnifica scultura di Hermes.

Egli è il primo che vorrei ritrarre nella mia installazione.

Quel giorno, Hermes non fece in tempo ad avvertire i cittadini di Pompei del pericolo imminente.

Poi ritrarrei Iside al capezzale del padre, nell’atto di ottenere da lui, mentre è malato, tutti i segreti del suo potere.

Riuscirà nel suo intento.

E per ultime, ma non in ordine di importanza, molte persone raffigurate sulle pareti della Casa dei misteri.
Perché la Casa dei misteri? Perché lì leggiamo sui muri la storia dell’iniziazione delle donne ai riti di passaggio dalla fanciullezza all’età adulta.
Ai misteri e ai riti della morte.
I cicli della vita.

Per concludere con una figura monumentale di Anubis, come è dipinto sulle pareti di quella casa.

Anubis il guardiano della morte.

Non finirei su questa nota, ma su un trionfante, bellissimo (lo spero) rendering di Apollo.

Il divino Apollo, dio della musica, dell’amore e del potere.

Come Iside, è ritratto con una lira in mano.
Un’icona di fronte all’altra.

 

Simone Fattal