Pompeii Commitment
Petrit Halilaj. Notes on Neolithic, Migratory Birds and Emotional Archeology
Commitments 17 22•04•2021Dieux des Balkans
Veçoritë më të hershme të qytetërimit në
Katalog arkeologjik i Kosovës
Kosova Antike
Petrit Halilaj
Notes on Neolithic, Migratory Birds and Emotional Archeology, 2021
collage digitale
Courtesy l’Artista
RU – titolo della mostra personale con cui Petrit Halilaj inaugura nel 2017 la programmazione delle South Galleries al New Museum di New York – è l’ultima manifestazione di un progetto di ricerca che ha condotto l’artista a ricreare 505 reperti archeologici risalenti al Neolitico e dissotterrati prima della guerra in Kosovo nel 1998-1999, culmine di tensioni secolari fra le comunità di origine albanese e serba che abitavano quei territori e le cui tracce ancora convivono nella storia pubblica e individuale di molti individui. Fra essi Halilaj e la sua famiglia. Il progetto è basato su una ricerca condotta dall’artista su diversi volumi in cui si intrecciano archeologia, etnografia, storia e leggende popolari, fra cui quella in cui si narra che Adamo ed Eva abbiano dato inizio alla civilizzazione umana partendo dalla città kosovara di Runik. RU ha in effetti origine in quella città, dove Halilaj è cresciuto, e presso cui i ritrovamenti oggetto del progetto RU – le lettere iniziali di Runik – sono stati effettuati in due differenti campagne di scavo, condotte rispettivamente nel 1966-68 e nel 1984.
In RU Halilaj lavora su diversi piani fra loro interconnessi, operando una ricostruzione al contempo storica e intima, filologica e immaginifica, fisica ed emozionale. Innazitutto i reperti – dislocati a seguito della guerra in due differenti musei (Museo di Storia Naturale di Belgrado e Museo del Kosovo di Pristina) – sono prima ricreati e infine riuniti da Halilaj in un terzo museo (il New Museum) evocando l’ipotesi di una loro temporanea ricongiunzione: l’artista esplora ed elabora in questo modo, al di là di ogni rivendicazione nazionalista, la porosità di un substrato culturale comune e riattiva il rapporto con esso e con le comunità ancestrali di cui proprio quei manufatti sono la testimonianza. Inoltre, nella sua nuova conformazione, ogni reperto archeologico assume l’aspetto di creature volatili che sembrano planare nel white cube museale per dislocarvisi fra composizioni di arbusti emergenti dal pavimento e dal soffitto, tracciandovi effimere e permeabili membrane architettoniche. I riferimenti storici diventano elementi di una narrazione fantastica che riscrive i contorni del museo come esperienza multi-specie (rivelando la vana pretesa di suddividere fra loro sfera minerale, vegetale e animale), multi-temporale (in cui passato e presente confluiscono l’uno nell‘altro), multi-disciplinare (in cui l‘episteme archeologica coesiste in quella contemporanea) e in cui anche il passaggio fra interno ed esterno – o per estensione fra dominio culturale e naturale – si assottiglia fino a non avere più alcun senso. Le libere traiettorie di volo e il mobile habitat degli uccelli migratori su cui Halilaj modella la sua ricreazione degli antichi manufatti neolitici di Runik rivela i malleabili e molteplici incroci da cui questi reperti sono composti e restituisce, infine, anche la propria relazione biografica con essi, l’affine appartenenza alla stessa comunità e il comune destino di sradicamento. Affrancando entrambi in una dimensione alternativa.
Il contributo di Halilaj a Pompeii Commitment consiste nella condivisione del materiale di ricerca utilizzato nella concezione di RU e, al contempo, nella sua continuazione e riconsiderazione attraverso quattro nuovi collage animati. Questi materiali – in cui ogni immagine, testo e dato si richiama a quelli precedenti e si fa tramite e portavoce di quelli successivi – suggeriscono il tempo lungo della lettura, dello studio, della cura, assecondando quello sospeso e sensuale di una metamorfosi in atto, in cui una cosa brama e ricerca l’altra, per unirsi e identificarsi gradualmente con essa. In essi Halilaj sembra suggerirci che non solo Pompei ma anche Runik, e quindi ogni paese e villaggio, ogni istante – storico e biografico – e ogni essere – animato o inanimato – ha la stessa dovizia e copiosità, la stessa fragilità e delicatezza, la stessa rilevanza e valore di qualsiasi reperto archeologico. In quanto materie disponibili, convissute e conviventi, impregnate di altre materie, generative di possibilità ulteriori, incipit di nuove storie. AV
Un ringraziamento a Serena Rota (Petrit Halilaj Studio) per il prezioso e amichevole aiuto nel coordinamento del contributo
Immagine in home page: Petrit Halilaj, RU, 2017, veduta dell’installazione al New Museum, New York. Photo Dario Lasagni. Courtesy l’Artista; ChertLüdde, Berlin; kamel mennour, Paris/London
Petrit Halilaj (Kostërrc, 1986) vive e lavora tra la Germania, il Kosovo e l’Italia. La ricerca di Halilaj, profondamente legata alla storia recente del suo paese, assume i toni di un’evocazione universale che supera i confini temporali e spaziali. A livello programmatico, le sue sculture, installazioni, opere testuali e performative recano le tracce e riflettono le tensioni politiche, sociali e culturali che incidono sull’esperienza collettiva e individuale in condizioni di trauma o conflitto. In quanto storyteller critico, che si confronta con la memoria collettiva, l’artista attiva un processo intimo di interpretazione personale che trae spesso origine da un’esperienza condivisa con qualcuno a cui vuole bene: un familiare o una persona che rappresenta un legame con la sua comunità o qualcuno che è entrato a far parte della sua vita quotidiana e privata. Il suo modo a volte irreverente di confrontarsi giocosamente con l’essenza della realtà determina una riflessione articolata sulla memoria, l’identità e le scoperte della vita, celebrando in definitiva la forza liberatoria e di riscatto dell’arte. Nel 2013, Halilaj ha rappresentato il Kosovo nella prima partecipazione del paese alla Biennale di Venezia. Nel 2017 è stato invitato nuovamente a partecipare alla 57° edizione della Biennale di Venezia e ha ricevuto la Menzione speciale della giuria. Nello stesso anno, gli è stato conferito il Mario Merz Prize, che gli è valso la commissione di un progetto intitolato Shkrepëtima, svolto dall’artista a Runik, Kosovo e presentato nel 2018 presso il Zentrum Paul Klee, Berna e presso la Fondazione Merz, Torino. Altre sue personali si sono tenute alla Tate St. Ives (2021); Palacio de Cristal-Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid (2020),Hammer Museum, Los Angeles (2018), New Museum, New York (RU, 2017); Pirelli HangarBicocca, Milano (Space Shuttle in the Garden, 2016); Kölnischer Kunstverein, Colonia (ABETARE, 2015); Bundeskunsthalle, Bonn (She fully turning around became terrestrial, 2015). Halilaj attualmente insegna all’École Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts di Parigi, dove condivide le lezioni con suo marito Alvaro Urbano.
La ricerca di una nuova metodologia per le pratiche archivistiche per sviluppare diverse relazioni con un passato che stiamo realizzando adesso e un futuro anch’esso forgiato da noi