Ormai in città non si parlava d’altro: il nemico romano, sotto il comando di Minatius Magius e Lucius Cornelius Silla, si stava avvicinando alle mura cittadine. Avevano già conquistato la vicina Ercolano e di lì a poco si sarebbero diretti verso Pompei. Non c’era null’altro da fare se non far rientrare in città coloro che abitavano in campagna e chiudersi all’interno.
Fortunatamente e con lungimiranza le vecchie, ma ancora solide, mura cittadine erano state rinforzate da qualche anno. Lungo il circuito murario erano state costruite solide e alte torri, munite di merlature e feritoie per ben difendersi durante un attacco; in tutto erano state realizzate dodici torri e molte avevano una porta nascosta che consentiva sortite verso l’esterno della città, protetti e senza farsi vedere dai nemici. La città era quindi ben protetta e un luogo sicuro in cui rifugiarsi in caso di pericolo.
Tuttavia, ancora qualcosa andava fatto; doveva essere organizzata nel modo migliore la difesa, tutto doveva funzionare al meglio per poter resistere a un attacco. Oltre a Ercolano il potente esercito romano aveva già soggiogato la città di Compsa e distrutto un accampamento di nemici alle porte di Nola.
Il nemico sarebbe arrivato dal lato settentrionale, era questo quello più esposto per un attacco e aveva bisogno di maggiori difese. Su questo lato si aprono le due porte, quella che guarda a Ercolano e quella che guarda verso la montagna, il Vesuvio. E poi c’erano le porte sul lato orientale, che guardavano verso Nola e le colline da cui sgorga il fiume Sarno. Il lato meridionale, con le sue porte che guardano verso Stabia e Nuceria, era meno potenzialmente esposto a un attacco, in quanto le attività belliche si stavano svolgendo a Nord di Pompei. Oltre la porta di Stabia, andando verso il Foro e la via che porta alla Marina, la situazione negli anni precedenti era diventata più complessa per organizzare una difesa. Proprio sulle mura, infatti, si erano espanse le abitazioni di alcuni eminenti cittadini, che avevano approfittato della situazione di relativa tranquillità – essere fedeli alleati di Roma aveva portato molti vantaggi, anche di crescita economica tramite il commercio transmarino con l’Oriente e l’Occidente – per occupare con parti delle loro case il cammino di ronda, approfittando delle solide fortificazioni per costruire ambienti con una splendida vista.
Furono quindi individuati i punti più importanti per disporre le truppe e organizzati gruppi di difesa al comando dei più valenti tra gli abitanti di Pompei; tuttavia, non tutti i difensori erano avvezzi a muoversi per la città, abitando anche all’esterno delle mura cittadine ed era necessario muoversi senza far confusione. Per questo motivo si decise di imbrattare le facciate delle abitazioni con indicazioni stradali per le truppe, in modo da muoversi agevolmente e in maniera ordinata. Le truppe assedianti furono meglio organizzate e munite di possenti macchine da guerra, tra cui balliste e catapulte, che colpivano le mura della città con i loro proiettili fatti di grossi ciottoli di fiume o in piombo; molti riuscirono a superare la barriera delle mura con il doppio cammino di ronda e colpire i tetti e i giardini delle case più vicini alle mura, in quel lato della città tra la porta di Ercolano e le torri XII, XI e X.
Dell’assedio di Pompei e del sistema difensivo organizzato dai pompeiani non ci è pervenuto solo il racconto delle fonti antiche, ma anche testimonianze archeologiche dirette; innanzitutto, i segni dei danni lasciati dai proiettili lanciati dagli assedianti contro le mura cittadine o i proiettili stessi conservati come una reliquie all’interno di alcune abitazioni. A queste tracce che furono lasciate in vista per oltre centocinquant’anni, fino alla catastrofica distruzione della città, si associano le iscrizioni dipinte di rosso sulle facciate in blocchi di tufo di Nocera di alcune abitazioni; sono iscrizioni in osco in cui la città organizza la difesa e indirizza i coscritti verso i punti di raccolta al comando dei pompeiani. Ci conservano quindi i nomi dei comandanti: Titus Fisanius, figlio di Ovius, Maras Atrius, figlio di Vibius, Vibius Sexembrius, figlio di Lucius, Lucius Popidius, figlio di Lucius e Maras Purellius, figlio di Mamercus. E sappiamo che il controllo del settore nord, tra la porta Ercolano, o meglio porta delle saline, e la torre XI era sotto il comando di Maras Atrius, quello tra le torri XI e X sotto il comando di Titus Fisanius e infine il lato occidentale, tra le case di Mamercus Castricius e Maras Spurius, figlio di Lucius, due che avevano occupato le mura con le loro abitazioni, sotto quello di Vibius Sexembrinus. Agli ultimi due il compito di organizzare la difesa sul lato orientale, presso la torre mediana, presso la porta Urublana (cioè l’odierna porta di Nola). Sempre grazie alle iscrizioni sappiamo che dove sorgeva il tempio di Minerva, l’antico tempio dorico presso il foro triangolare, vi era la domus pubblica.
Osservando ciò che resta delle iscrizioni dipinte e seguendone le indicazioni, ancora oggi, percorrendo le strade di Pompei, si può tornare indietro a quei concitati momenti in cui una città dovette difendersi dall’assedio che di lì a poco ne cambierà, ancora una volta, la storia.
Marco Giglio é Archeologo – manutenzione programmata presso il Parco Archeologico di Pompei