Nelle città dell’Italia romana le elezioni rappresentavano il momento più saliente della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, anche se tale momento di vita democratica risultava inserito in un contesto politico-sociale che sarebbe blasfemo o quantomeno temerario definire democratico. Pompei ci ha permesso di avere di esse informazioni dettagliate. Le elezioni amministrative avevano luogo ogni anno e permettevano a un numero molto ristretto di pompeiani, ossia ai soli cittadini emancipati, liberi e di sesso maschile, di eleggere direttamente l’esecutivo, formato da due magistrati supremi, i duoviri giusdicenti, equivalenti in doppio ai nostri sindaci, ma al contempo anche giudici civili, e da due edili, che potremmo definire assessori. Gli elettori erano raggruppati in cinque circoscrizioni elettorali; per vincere bisognava riportare il successo nella maggioranza di esse, cosa che comportava che il candidato dovesse avere una platea elettorale ben distribuita nelle varie sezioni territoriali, ottenuta anche tramite alleanze tra due candidati. A marzo il Consiglio Comunale, ossia l’Ordo Decurionum, formato dagli ex magistrati che, usciti di carica, vi rimanevano a vita, e che pertanto rappresentava la vera continuità del potere cittadino, designava gli ammessi alla competizione elettorale tra quanti avevano manifestato la volontà di accedere alle magistrature, dopo averne valutato il possesso dei requisiti richiesti. Cominciava a questo punto la vera e propria campagna elettorale che, combattuta talora anche in modo aspro, coinvolgeva la vita dell’intera cittadinanza.
Al termine della contesa coloro che risultavano eletti dovevano versare direttamente gli emolumenti per tutto l’anno del loro mandato allo staff di collaboratori e di aiutanti prefissati e finanziare un’opera pubblica o, in alternativa, allestire giochi. Un impegno economico notevole, che spiega anche le pressioni che il popolo esercitava su alcuni cittadini perché si candidassero. Il rimanere poi a vita nella casta dei maggiorenti era il premio per tale gravoso impegno.
Sui toni accesi della campagna elettorale forniscono una testimonianza invero eccezionale i numerosissimi manifesti elettorali che documentano come i candidati e il loro seguito si adoperassero a contendersi il favore della cittadinanza.
Tali manifesti, che generalmente riportavano in grande rilievo il nome del candidato seguito dalla carica alla quale aspirava, e poi l’invito a votarlo (oro vos faciatis) accompagnato dal nome dei rogatores, ossia di quelli che ne peroravano l’elezione, campeggiavano nei punti strategici della città, lungo le vie principali, sulla facciata delle case dei più importanti cittadini, presso le sedi di associazioni e nei luoghi abituali di riunione. Essi mostrano come la campagna elettorale, duramente combattuta, coinvolgeva la vita dell’intera cittadinanza.
Soprattutto ricercato era naturalmente l’appoggio dei “grandi elettori”, che potevano manovrare diversi voti, delle corporazioni, di notabili influenti, in un gioco di scambio di favori e di alleanze a volte anche concepito nell’arco di più anni, sì che i candidati potessero vicendevolmente scambiarsi il peso della propria base elettorale. Ricorrenti sono infatti i manifesti rivolti ad personam, come quelli posti davanti all’ingresso della casa di Trebius Valens: “O Valente, porta Popidio Ampliato, figlio di Lucio, all’edilità. A suo tempo anch’egli ti sostenne”; e ancora: “Trebio, datti una mossa, e adoperati per l’elezione di Ampliato a edile”. Il fac qui te fecit, ossia fai eleggere chi ti fece eleggere, è di fatto un’asserzione pubblica che i candidati non si peritavano di testimoniare, ma non manca chi guardava al futuro con analoghe promesse: fac et ille te faciet (fallo eleggere e poi a sua volta egli ti farà eleggere quando ti candiderai). D’altra parte erano spesso anche umili pompeiani, talora nemmeno in possesso del diritto di voto, a schierarsi pubblicamente sui manifesti a favore dell’uno o dell’altro dei candidati, sollecitando per essi l’elezione. Nel meccanismo della competizione, poi, che dava ampio peso formale a quelle valenze microterritoriali che dovevano di fatto spontaneamente caratterizzare la vita della città, una funzione considerevole era svolta dai vicini, ossia gli abitanti della stessa zona, nel favorire il successo di un candidato. Talora, anzi, è possibile cogliere, nell’ambito di uno stesso quartiere, un’animosità nei confronti di qualche candidato espressa con una serie di manifesti di contropropaganda, tesi a svilirne la figura. Così accade, per esempio, nel quartiere dei Forenses, abitanti del centro storico, dove a chiedere il voto per Cerrinius Vatia si schierano i dormientes (morti di sonno), i furunculi (ladruncoli di bassa specie), i seribibi (gli ubriaconi notturni) i sicari (gli assassini su commissione), ma altrove sembrano entrare in scena anche i drapetae (gli schiavi fuggitivi), tutte improbabili associazioni di persone cui sarebbe difficile poter dare credito, ma che bene illustrano l’eco di un fenomeno elettorale alquanto generale, e proprio di ogni tempo, quello della “distruzione in effige”, nella fattispecie qui del manifesto elettorale, del candidato non gradito, dell’avversario.
Esempio considerevole degli espedienti a vario titolo utilizzati da un uomo che voleva dedicarsi alla carriera politica è offerto da Caius Iulius, forse nipote dell’omonimo liberto e fiduciario dell’imperatore Ottaviano Augusto, ricordato da Svetonio, e figlio di quel Caius Iulius Philippus di cui venne trovato il sigillo all’interno di un austero palazzotto dell’età sannitica posto lungo via dell’Abbondanza, dove anche un graffito ne fa voto per il ritorno da una spedizione militare.
A tale Philippus, inoltre, un’iscrizione elettorale trovata proprio dirimpetto alla casa si indirizza espressamente con l’invito a votare al duovirato probabilmente per Rustius Verus, con queste parole: Iuli Philippe fac, et ille Polybium faciet (O Giulio Filippo, fa convergere i tuoi voti [su Rustio Vero ?] ed egli farà poi convergere i suoi su Polibio). Un’altra iscrizione elettorale, tracciata stavolta proprio sulla facciata della casa recita: “Collega Polibio, fa diventare Aulo Rustio Vero duoviro giusdicente”. È evidente qui non solo lo scambio di voti che avveniva tra i “grandi elettori” pompeiani, ma anche lo stretto rapporto che legava indubbiamente Iulius Philippus a Iulius Polybius.
Ben fornita di denaro e ben sistematasi a Pompei, dove si crea certo degli interessi economici, tale famiglia è ora alla ricerca di visibilità, e questa, nella chiusa cerchia di una comunità “provinciale”, può esser data solo dall’essere accettati nella ristretta élite di chi detiene il potere politico, ossia i maggiorenti cittadini.
Tale ricerca esasperata del consenso ai fini elettorali per l’ascesa al potere da parte di questi Iulii, nuovi venuti a Pompei, sembra riconoscibile già dalla loro casa, mantenuta volutamente austera, ma dove tre iscrizioni elettorali per Polybius magistrato sono poste addirittura all’interno di essa, a occhieggiare visitatori e inquilini dei cenacoli, e dove sul lato di fondo del peristilio si apre una fuga di ben tre grossi triclini intercomunicanti, che denotano l’esigenza da parte del proprietario di riunire intorno a séfrequentemente un numero nutrito e anzi considerevole di ospiti. Dirimpetto al tablino dell’atrio secondario della casa, inoltre, dove è facile immaginare lo “studio” professionale del dominus, si trova un’ampia sala d’attesa dove veniva fatta accomodare la turba dei clientes che dovevano essere ricevuti, e che non venivano quindi lasciati aspettare fuori, al sole o all’addiaccio, su quelle panchine che si incontrano comunemente all’esterno delle principali case dei maggiorenti pompeiani.
Un’esigenza, lucida, di consenso, che si riverbera e chiarisce con il riferimento ai messaggi elettorali, che mostrano il nostro Polybius intento a instaurare alleanze politiche con le famiglie più in vista di Pompei, e detentrici da generazioni del potere politico, cui egli, pur da homo novus, ambisce ad assimilarsi, quasi come erede delle tradizioni dell’antica borghesia pompeiana e cui dà nel corso degli anni il sostegno dei voti della sua clientela in un ben preciso disegno strategico, volto ad assicurargli poi il loro sostegno al momento della presentazione della sua candidatura a magistrato.
Candidatura, del resto, che vive anche di una nutrita base elettorale d’appoggio, tra cui, per esempio, oltre agli immancabili vicini si notano le potenti corporazioni dei muliones (trasportatori) e i pistores (panettieri). Di certo, anzi, nella panificazione egli deve aver avuto grossi interessi, se in un manifesto viene celebrato come studiosus et pistor (uomo di cultura e panificatore), e i rinvenimenti della casa ce lo mostrano appunto anche come raffinato collezionista d’arte, mentre in un altro, con insuperabile ammiccante doppio senso, di lui si dice che panem bonum fert (offre buon pane).
Forse è proprio per questo, allora, che egli, candidato, dovette correre prontamente ai ripari per parare un colpo involontario, ma che avrebbe potuto essere deleterio per la sua vittoria. Fece infatti rapidamente ricoprire con uno strato di bianca calcina i nomi di due donne di non specchiati costumi che avevano avuto l’ardire di schierarsi pubblicamente in suo supporto: una, Cuculla, che già dal nome, “Cappuccio”, palesa la sua specialità erotica e su cui non abbiamo altri elementi per poi ritornare; l’altra, Zmyrina, “la ragazza di Smirne”, che insieme alle altrettanto esotiche Aegle e Maria doveva intrattenere i clienti con arti tutte femminili nel vicino termopolio di Asellina, e che magari vedeva ammirata ogni mattina passare davanti al locale Polybius attorniato dal suo codazzo per recarsi al Foro. Intendiamoci, non che il nostro Polybius fosse un misogino. Lo vediamo infatti accettare di buon grado tra i suoi supporter una Fabia, una Lollia “insieme ai suoi”, una Chypare e una Specla. Certo, le donne non avevano diritto al voto, ma è noto il peso che da sempre esse hanno avuto nelle vicende umane. Forse quelle due, però, avevano proprio esagerato nel proporsi come sue sostenitrici. Quelle, con la loro condotta di vita, osannare lui, il propugnatore dei costumi antichi, il conservatore delle tradizioni ataviche! Sarebbe stato controproducente accettarne il sostegno, ne sarebbe stata minata alla base la figura morale che con pazienza era riuscito ad accreditarsi negli anni. Molto meglio far coprire nottetempo da un galoppino il nome di quelle due importune sui messaggi elettorali.
Come potremmo allora giudicare il nostro Polybius? Un arrampicatore sociale, quindi, ma anche un politico accorto; un conservatore di vecchio stampo, ma attento alle esigenze di quanti ricorrevano a lui; un moralista di facciata, non certo un bacchettone; uno spericolato capace di manovre ardite, in politica, ma in grado di dare benefici alla sua base; un uomo senz’altro ricco, ma decisamente non avaro, pronto a spendere e spandere, sia pure per proprio tornaconto; un gaudente, ma con considerata misura, capace inoltre di apprezzare e godere appieno il bello offerto dalla visione propria dell’arte.
Ma cosa poi ne è stato, invece, della nostra Zmyrina? Cosa volete mai che facesse, lei, donna, schiava, per giunta di facili costumi, contro un uomo così ricco, potente, legato a quelli che contano a Pompei? La poveretta è costretta a tacere e a subire l’ignominia formale della cancellazione del nome, vera morte in effigie. La favola però non finisce qui e, anzi, ha un inatteso lieto fine che mostra peraltro come la sagacia delle donne, di qualunque condizione, riesca a prendersi la sua elegante rivincita anche contro il rude potere.
In una successiva elezione si presenta infatti candidato Caius Lollius Fuscus, rampollo di una delle più antiche famiglie italiche, che non ha certo bisogno di farsi strada “a gomitate e spintoni” nella politica locale, e che probabilmente sorride con bonomia quando forse, ma è lecito ipotizzare, le ragazze del termopolio di Asellina gli chiedono riservatamente il permesso di sostenerlo nella candidatura.
Certo, non sapremo mai se ciò sia avvenuto o meno, ma possiamo limitarci a constatare i fatti.
Sulla facciata del loro termopolio compare infatti un mattino la seguente scritta elettorale: “Le ragazze di Asellina vi chiedono di portare all’edilità Gaio Lollio Fusco”, seguita da una chiosa esplosiva: “E tra esse c’è pure Zmyrina”.
La vendetta è consumata. Il nome della ragazza è pubblicamente riabilitato e a Polybius non resta che imparare come si comporta un vero signore.
Antonio Varone, già direttore degli scavi di Pompei