1.
Lawrence Weiner
THINGS THROWN ONTO THE BAY OF NAPLES, 2009
linguaggio + materiali di riferimento
dimensioni variabili
Courtesy l’Artista e Alfonso Artiaco, Napoli
Photo Luciano Romano, 2009
© 2021 Lawrence Weiner / SIAE, Roma
2.
Lawrence Weiner
Statement of Intent, 1968
3.
Lawrence Weiner
THINGS THROWN ONTO THE BAY OF NAPLES
Courtesy l’Artista e Alfonso Artiaco, Napoli
Photo Luciano Romano, 2021
© 2021 Lawrence Weiner / SIAE, Roma
Lawrence Weiner definisce il mezzo espressivo della sua arte come “language + the material referred to” (“linguaggio + il materiale a cui fa riferimento”), intendendo con questa espressione che il suo linguaggio, così come viene usato, è qualcosa di scultoreo e rappresenta la materia con cui egli costruisce le sue opere. Il suo primo libro d’artista, Statements (1968), contiene 24 opere il cui enunciato, per Weiner, era più importante della loro stessa realizzazione fisica. Le parole, in quanto portatrici di significato conciso, sono quindi più rilevanti dell’oggetto in sé. Weiner esplora in questo senso il linguaggio come una risorsa per l’immaginazione: il contenuto delle sue frasi epigrammatiche innesca un processo in grado di creare un’immagine, una situazione o uno scenario nella mente dello spettatore che, nell’atto di leggere, immaginare e percepire la rappresentazione dell’artista, realizza di fatto una sua versione dell’opera. Ed è del resto dall’osservazione quotidiana degli enunciati presenti sui muri del suo quartiere di New York, South Bronx, che Weiner ha tratto questa ispirazione: “Non ho avuto il vantaggio di una prospettiva borghese. L’arte era qualcosa di diverso; l’arte erano le scritte sui muri o i messaggi lasciati da altri. Sono cresciuto in una città in cui leggevo i muri; ancora oggi leggo i muri. Mi piace mettere sui muri il mio lavoro e lasciare che le persone lo leggano. Alcuni lo ricorderanno e poi arriverà qualcun altro che lo coprirà con qualcos’altro. Diventa archeologia piuttosto che storia”.
Di un’archeologia immaginaria furono dotate le opere che l’artista presentò alla Galleria Alfonso Artiaco, presso la sua sede napoletana a Palazzo Partanna in Piazza dei Martiri, dal 6 febbraio al 21 marzo 2009, in occasione della mostra personale The Bay of Naples. Dei cinque statement che solcavano le pareti della galleria, tutti riferiti a azioni ipotizzabili nel golfo di Napoli – STONES SKIPPED ACROSS THE BAY OF NAPLES (SASSI LANCIATI CHE RIMBALZANO SUL GOLFO DI NAPOLI), PILES OF USED MARBLE BREAKING THE WATER OF THE BAY OF NAPLES (MUCCHI DI MARMO USATO CHE INFRANGONO LE ACQUE DEL GOLFO DI NAPOLI), RAFTS OF CARVED WOOD FLOATED ACROSS THE BAY OF NAPLES (ZATTERE DI LEGNO SCOLPITO CHE ATTRAVERSANO IL GOLFO DI NAPOLI), MOLTEN COPPER POURED ON THE RIM OF THE BAY OF NAPLES (RAME FUSO COLATO SULLE RIVE DEL GOLFO DI NAPOLI) – l’artista ne ha selezionato uno per il suo contributo a Pompeii Commitment: THINGS THROWN ONTO THE BAY OF NAPLES (OGGETTI GETTATI SUL GOLFO DI NAPOLI).
Quest’opera – originariamente applicata con lettere adesive alle pareti della galleria – stabilisce una tensione tra la dimensione del linguaggio usato e il suo equivalente materiale. La scritta tipografica e la disposizione grafica, per esempio, disegnano il motivo della curva, evocando sia l’insenatura della costa sia la traiettoria descritta da un oggetto lanciato verso l’orizzonte. La specificità del contesto per il quale l’opera è stata concepita – il golfo di Napoli, sul quale si affaccia anche l’antica città di Pompei – risuona all’interno di una dialettica tra referente realistico e astrazione concettuale, dato particolare e dato universale. La stessa dialettica che il contributo di Weiner per il portale pompeiicommitment.org porta però a un livello ulteriore di esperienza. Prima richiedendo a un osservatore, il fotografo Luciano Romano, di realizzare alcuni scatti fotografici dell’azione da lui enunciata, quasi a verificare e fornire un esempio, fra gli infiniti possibili, di quella catena di interpretazioni che le sue opere innescano. E poi restituendo dell’opera, inizialmente realizzata sulle pareti di uno spazio fisico, un’ulteriore versione per gli osservatori di un portale digitale. L’artista prende infatti alla lettera la definizione di “splash page” (“pagina iniziale”) dei siti web, e vi impagina l’azione di gettare (“splash”) alcuni oggetti nel golfo di Napoli, facendo coincidere enunciato, immagine fotografica e dispositivo tecnologico che le comunica. AV
Si ringraziano: Jin Jung, Anna Boskovski, MaryJo Marks di LAWRENCE WEINER STUDIO, Luciano Romano, Alfonso Artiaco, Ilaria Artiaco, Alessandro Rabottini.
Immagine in home page: Lawrence Weiner, THINGS THROWN ONTO THE BAY OF NAPLES, 2009. Courtesy l’Artista e Alfonso Artiaco, Napoli
Per quanto si sia identificato più come scultore che come artista concettuale, Lawrence Weiner (New York, 1942–2021) è stato una delle figure centrali del movimento dell’Arte Concettuale che dalla metà degli anni sessanta del XX secolo hanno espanso, nello scenario artistico occidentale, il concetto tradizionale di opera d’arte, includendo tra i materiali e le procedure artistiche il linguaggio, l’azione performativa, l’intervento ambientale, la registrazione fotografica e filmica. L’opera d’arte diviene per Weiner un dispositivo di pensiero che esiste in relazione al soggetto che la osserva e al contesto in cui è presentata, chiamando quindi in causa sia lo spettatore che lo spazio-tempo in cui l’opera è esperita quali agenti attivi nella costruzione e nell’interpretazione dell’opera stessa. Dopo aver esordito nel 1967 con opere che consistevano in interventi specifici accompagnati dalla descrizione del gesto dell’intervento stesso, Weiner passa fra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta a un utilizzo radicale della parola come principale mezzo espressivo, producendo opere in forma di brevi frasi che interagiscono con un contesto dato, sia esso espositivo o connesso alla dimensione pubblica all’esterno di gallerie e musei. Media tra loro differenti – come installazioni con lettere applicate o dipinte su muri e vetri, registrazioni sonore o filmiche, libri d’artista, manifesti, oggetti tridimensionali, graffiti, tattoo, progetti online… ad infinitum – diventano altrettanti “siti” nei quali le opere di Weiner si manifestano materialmente, in caratteri tipografici che l’artista stesso ha disegnato e con cui identifica visivamente tutti i suoi interventi. Queste opere esistono però al di là dalla loro singola manifestazione materiale: la loro formalizzazione dipende sempre dalle condizioni spazio-temporali che ospitano l’opera e lo spettatore, variando quindi secondo le differenti condizioni. Se il concetto di “contesto” svolge quindi un ruolo primario, la sua interpretazione non è però limitata al contesto fisico, ma investe anche l’idea di contesto linguistico e culturale. Molte delle sue opere presentano infatti la formulazione originaria in lingua inglese accanto alla traduzione della stessa frase nella lingua del paese in cui l’opera è allestita, mostrando in questo modo un’interazione in continua trasformazione tra linguaggio, spazio-tempo e spettatore a cui l’artista sembra rivolgersi definendo le sue opere “a universal common possibility of availability” (“una comune universale possibilità di accesso”).
Mostre personali gli sono state dedicate, negli ultimi decenni, da importanti istituzioni pubbliche quali, fra le altre: Holstebro Kunstmuseum, Denmark (2021); facciata del Jewish Museum, New York City (2020–21); Museo Nivola, Orani (2019); Kistefos Sculpture Park, Norvegia (2018); Pérez Art Museum, Miami e Milwaukee Art Museum (2017); Kunsthaus Bregenz (2016); Roswitha Haftmann Foundation e Blenheim Palace (2015); Stedelijk Museum, Amsterdam (2014); MACBA – Museu d’Art Contemporani de Barcelona (2013); M HKA-Museum van Hedendaagse Kunst Antwerpen, Anversa (2011); Haus der Kunst, Munich (2007, lo stesso anno in cui si avvia la retrospettiva organizzata dal Whitney Museum of American Art, New York e MoCA-Museo of Contemporary Art, Los Angeles, itinerante al K21 Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Düsseldorf); Tate Gallery, London (2006); Museo Tamayo Arte Contemporáneo, Mexico City (2004); Kunstmuseum Wolfsburg e Deutsche Guggenheim, Berlino (2000); Walker Art Center, Minneapolis (1994); Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington, D.C. (1990). Weiner ha partecipato a quattro edizioni di Documenta (1972, 1977, 1982, 2012) e della Biennale di Venezia (1972, 1984, 2003, 2013), oltre che alla Istanbul Biennial (1995, 2015) e alla Biennale di São Paulo (2006).