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© Pompeii Commitment. Archaeological Matters, un progetto del Parco Archeologico di Pompei, 2020. Project partner: MiC.
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Tabita Rezaire, con Oulimata Gueye. Mamelles ancestrales

Commitments 10    25•02•2021

Video (proiezione fino al 3 marzo 2021): 

Tabita Rezaire
Mamelles ancestrales, 2019
video a singolo canale (versione web), 1hr 1min
Courtesy l’Artista e Goodman Gallery, Sudafrica

Immagini:

Tabita Rezaire
Mamelles ancestrales (video stills), 2019
Courtesy l’Artista e Goodman Gallery, Sudafrica

Testo:

Oulimata Gueye
Coalescenze celesti, 2021
tradotto dal francese

In occasione e nel contesto di Pompeii Commitment. Materie archeologiche – primo programma di arte contemporanea ideato e prodotto dal Parco Archeologico di Pompei – Serpentine Galleries e Pompei collaborano invitando tre artiste, coinvolte nel progetto Back to Earth di Serpentine, a condividere alcuni spunti di riflessione sui loro attuali percorsi di ricerca, che incrociano tematiche connesse all’archeologia, all’archeobotanica e all’archeozoologia.

Nel contesto di Back to Earth, l’artista Tabita Rezaire sta sviluppando AMAKABA, un centro per le scienze e le arti della terra, del corpo e del cielo nella foresta amazzonica della Guyana francese. La terza uscita congiunta tra Serpentine e Pompei comprende una proiezione online del lungometraggio di Rezaire, Mamelles ancestrales, tra il 25 febbraio e il 3 marzo 2021, accompagnata da una selezione di video stills – a cura di Stella Bottai – che resteranno visibili a seguito del periodo di proiezione, evidenziando i punti di incontro archeologici e universali tra questo film e il contesto di Pompeii Commitment. Un nuovo testo, commissionato specialmente, da parte della critica e curatrice Oulimata Gueye esplora e contestualizza diversi aspetti della ricerca di Rezaire, come l’esplorazione dello spazio, le geostrategie e le saggezze spirituali. Mamelles ancestrales intraprende un’esplorazione della conoscenza sui megaliti, antichi monumenti in pietra, spesso a forma di cerchio, che si trovano in tutto il mondo. In Gambia e in Senegal, sono comunemente visti come necropoli, ma rivelano una ricchezza di conoscenze ancestrali provenienti da diverse culture della regione. Il video presenta una serie di conversazioni e interviste che evidenziano diverse interpretazioni e punti di vista su questi monumenti in pietra – dall’essere siti sacri, dispositivi energetici, cimiteri, luoghi infestati o punti di riferimento archeologici e geologici. Complessivamente, queste storie intrecciano approcci scientifici alla misurazione e alla previsione con la comprensione di questi siti dal punto di vista della divinità e della cosmologia. Rezaire solleva interrogativi su come le spiegazioni scientifiche e le interpretazioni spirituali o culturali possano coesistere, e cosa succede quando una prende priorità sull’altra. Questa è una domanda continua che si applica alla natura stessa delle metodologie archeologiche, sfidandole – una domanda che desideriamo collegare, appunto, anche a Pompei. SB

Back to Earth è curato e prodotto da Rebecca Lewin, Hans Ulrich Obrist, Jo Paton, Lucia Pietroiusti, Holly Shuttleworth and Kostas Stasinopoulos.

Un sentito ringraziamento a Nicoletta Fiorucci Russo e al Fiorucci Art Trust.

Immagine in home page: Tabita Rezaire, Mamelles ancestrales (video still), 2019. Courtesy l’Artista e Goodman Gallery, Sudafrica

 

Tabita Rezaire (Parigi, 1989) desidera infinitamente fare esperienza di sé in forma umana. Il suo percorso come artista, devota, yogi, doula e presto agricoltore è tutto orientato verso la manifestazione del divino in se stessa e oltre. Come eterna cercatrice, il desiderio di connessione di Rezaire trova espressione nelle sue pratiche interdimensionali, che immaginano le scienze di rete – organiche, elettroniche e spirituali – come tecnologie di guarigione per servire il passaggio verso la coscienza del cuore. Abbracciando la memoria digitale, corporea e ancestrale, scava in immaginari scientifici e regni mistici per affrontare le ferite coloniali e i disallineamenti energetici che influenzano le canzoni del nostro corpo-mente-spirito. Il lavoro di Rezaire è radicato in spazi temporali in cui tecnologia e spiritualità si fondono come terreno fertile per nutrire visioni di connessione ed emancipazione. Attraverso le interfacce dello schermo e i circoli curativi, le sue offerte mirano a nutrire la nostra crescita collettiva ed espandere la nostra capacità di stare insieme. Rezaire vive vicino a Cayenne, nella Guyana francese, dove attualmente studia agricoltura e sta dando vita ad AMAKABA – la sua visione per la guarigione collettiva nella foresta amazzonica. Rezaire è dedita a diventare una madre del mondo. Le sue offerte sono state ampiamente condivise: Centre Pompidou, Parigi; MASP, San Paolo; Serpentine Galleries, Londra; MoMa e New Museum, New York; Gropius Bau, Berlino; MMOMA, Mosca; Museum of Contemporary Art, Chicago; ICA London; V&A London; National Gallery Denmark, Copenaghen; The Broad, Los Angeles; MoCADA, New York; Tate Modern, Londra; Museum of Modern Art, Parigi – e presentato per le biennali internazionali a Shanghai, Guangzhou, Kochi, Atene e Berlino.

Oulimata Gueye è una critica e curatrice indipendente franco-senegalese. Il suo approccio curatoriale si basa sul lavoro di ricerca all’intersezione tra scienze e tecnologie digitali, arte contemporanea e culture popolari. I suoi lavori, come Africa sf, Digital Imaginaries, Utopies Non Alignées, Afrocyberféminismes, UFA, Université des Futurs Africains, si concentrano sulle intersezioni tra finzioni, scienze e tecnologie rispetto alle regioni africane.

Pompeii Commitment

Tabita Rezaire, con Oulimata Gueye. Mamelles ancestrales

Commitments 10 25•02•2021

Coalescenze celesti [1]

 

Lambita dall’Oceano Atlantico, la penisola di Capo Verde sulla quale si è sviluppata la città di Dakar costituisce la punta più occidentale del bacino sedimentario del Senegal. All’estremità di questa penisola si trova il quartiere di Ouakam. I suoi abitanti, i Lebu, si sono stabiliti lì verso la fine del XV secolo. I Lebu, matrilineari in origine, hanno mantenuto una sofisticata organizzazione sociale. In gran parte pescatori, hanno una conoscenza precisa ed esoterica della navigazione marittima attraverso la lettura della volta celeste. Ed è lì, all’estremità occidentale dell’Africa, che si trovano due colline vulcaniche coniche: Les Mamelles. Qualsiasi turista si trovi in città non avrà problemi a individuarle, tanto più che una ospita il faro più potente dell’Africa, l’altra l’emblematico monumento al Rinascimento africano, costruito dalla Repubblica democratica di Corea nel primo decennio degli anni Duemila. Infine, davanti al mare, sorge la moschea della Divinità. È forse in omaggio a questo insieme di eccezionali congiunzioni che uniscono cielo e mare, profano e divino, cultura e credenze, che Tabita Rezaire ha scelto di dare al suo ultimo film – realizzato principalmente in Senegal – il titolo di Mamelles ancestrales (Mammelle ancestrali).

Tabita Rezaire appartiene alla generazione di artisti segnati dall’onnipresenza delle tecnologie digitali, dalla massificazione di Internet e dalla nascita del modello predatorio della Silicon Valley. Da questa immersione nascerà la sua riflessione, critica e teorica, sulla società liberale capitalista tecnico-scientifica. La sua pratica si sviluppa all’incrocio tra pensiero femminista, metafisica e critica politica della tecnologia. Nel 2014, prendendo la mosse da Johannesburg, dove si è stabilita, realizza Afro Cyber Resistance, un video dall’estetica molto fai-da-te, nel quale rammenta che, allo stato attuale, le tecnologie costituiscono un nuovo imperialismo che minaccia il continente africano allo stesso modo della schiavitù o del colonialismo. Oltre che contro Internet, è necessario lottare contro “l’intero complesso coloniale-capitalista-patriarcale-scientifico-tecnologico-medico-penale ed educativo”. Le sue ricerche esplorano le vie d’uscita dal colonialismo elettronico, le varie opzioni per riappropriarsi delle parole della scienza e delle tecnologie e le possibilità di riconquistare un’armonia tra esseri viventi e cosmo. In che modo articolare la tecnologia con altre dimensioni più spirituali, fisiche, organiche? In che modo riabilitare la lunga storia dei rapporti che le società africane hanno stabilito tra saperi matematici e divinazione? In che modo riprendere a considerare il corpo come uno spazio di risorse e un potente strumento tecnologico in grado di produrre, archiviare e trasmettere informazioni? In che modo fare della pratica artistica un processo di cura e uno strumento di emancipazione?

L’installazione Mamelles ancestrales è formata da un film di 61 minuti proiettato su un terreno circondato da dodici pietre che formano un cerchio. Attraverso quest’opera, Tabita Rezaire affronta l’attualità delle sfide della ricerca spaziale per quanto riguarda le conoscenze popolari, le credenze religiose e le domande spirituali. In sottofondo al film, l’attualità della ricerca spaziale e le sfide geostrategiche ed ecologiche che si ridisegnano in funzione dei nuovi arrivi. Se le ambizioni spaziali di Elon Musk – con il programma SpaceX negli Stati Uniti – e quelle della Cina sono state le più presenti sui media, un numero sempre maggiore di paesi africani manifesta il desiderio di avere un peso nella ricerca spaziale. Così in Nigeria, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo e la ricerca spaziale (NASRDA), creata nel 1998, e che ha già lanciato tre satelliti, lavora a una missione lunare prevista da qui al 2030. Nel 2014, l’Etiopia si è dotata del primo osservatorio astronomico dell’Africa orientale. Dal 2002 l’Algeria ha un’Agenzia spaziale e, nel 2010, il Sudafrica ha creato la Sansa, l’Agenzia spaziale sudafricana. Lo SKA (Square Kilometer Array), un radiotelescopio in costruzione nel deserto del Karoo, in Sudafrica, dovrebbe essere operativo verso la fine del 2024 e sarà lo strumento di osservazione radio-astronomica più sensibile mai ideato. In tale contesto, la questione dei rifiuti spaziali emerge come un effetto perverso delle sempre più numerose incursioni nello spazio, e la proliferazione dei rifiuti in orbita fa temere con il passare del tempo una nuova catastrofe ecologica. Come fare in modo che le questioni dello spazio non siano appannaggio dei soli scienziati e delle imprese private? Come assicurarsi che le dimensioni culturali, spirituali e sociali, indissolubili da questa nuova ricerca dello spazio non siano relegate in secondo piano, per non dire ignorate? Prendendo le mosse da queste “vestigia tecnologiche”, ovvero i cerchi delle sepolture megalitiche che attraversano il Senegal e il Gambia, Mamelles ancestrales intesse i fili di un racconto che riporta al centro dei problemi dello spazio le conoscenze cosmologiche ormai dimenticate. Il film è il risultato di ricerche e spedizioni su quattro siti megalitici: i cerchi di pietra di Sine Ngayène e Wanar, in Senegal, e quelli di Wassu e Kerbatch in Gambia [2]. Nel corso di molti mesi, Tabita Rezaire ha raccolto le testimonianze dei custodi di quei siti, delle popolazioni locali, di astronomi, archeologi e teologi. Costruiti a partire dal 1300-1500 a.C. fino al 1500 d.C., nel lavoro di Tabita Rezaire i megaliti diventano “il centro di una ricerca scientifica, mistica e cosmologica”. L’opera cerca di “stabilire dei percorsi tra cielo e terra, tra i vivi e i morti, per svelare un mondo nel quale i corpi celesti, minerali e organici, cantano insieme”. Perché, come rammenta Tabita Rezaire, “in ogni epoca, le diverse culture del mondo si sono rivolte verso il cielo per comprendere i misteri dell’universo. L’osservazione del cielo ha avuto un grande impatto sull’architettura, la navigazione, l’agricoltura, la politica e le arti”. Riferendosi all’antropologo Cheikh Anta Diop, Tabita Rezaire difende inoltre la causa di un’archeologia de-colonizzante. Da tempo i cerchi megalitici del Senegambia sono oggetto di ricerche di amatori e di archeologi europei. E da altrettanto tempo, queste ricerche hanno cercato di mostrare che le conoscenze tecnologiche legate alla loro costruzione non potevano che provenire da altrove. Nella loro opera Les traditions mégalithiques de Sénégambie [3], gli archeologi Augustin F.C. Holle e Hamadi Bocoum [4] rammentano che quei sistemi megalitici sono il prodotto di competenze tecnologiche locali e fungono da indicatori territoriali che permetteranno di “produrre” antenati, e che è ormai giunto il momento di comprendere la conoscenza di quei siti in maniera olistica. Rendendo omaggio alle mitologie e al potere poetico di nozioni e credenze che legano passato e invisibile, futuro e imprevedibile, scientifico e spirituale, Mamelles ancestrales contribuisce in maniera sensibile a questo percorso.

 

Oulimata Gueye


[1] Titolo preso a prestito da Tabita Rezaire.

[2] I monumenti megalitici del Senegambia, ripartiti tra Senegal e Gambia, si trovano nell’estremità occidentale dell’Africa occidentale. I fiumi Gambia e Saloum segnano i limiti meridionale e settentrionale di quest’area megalitica che si estende per 120-150 chilometri da nord a sud e per 250 chilometri da est a ovest, da Tambacounda a Kaolack. I siti megalitici si estendono su circa 33.000 chilometri quadrati, e sono divisi in gruppi lungo i corsi d’acqua. In termini statistici, vi sarebbero all’incirca 3000 siti megalitici e circa 30.000 pietre erette, organizzate in cimiteri in forme estremamente diverse: tumuli di terra, cerchi e tumuli di pietra, cerchi di pietre.

[3] Augustin F.C. Holle e Hamadi Bocoum, Les traditions mégalithiques de Sénégambie, Errance, 2014, 152 pagine.

[4] Hamadi Bocoum è direttore del Patrimonio culturale presso il Ministero della Cultura senegalese, direttore dell’Istituto fondamentale dell’Africa nera (IFAN – Cheikh Anta Diop) e professore all’università Cheikh Anta Diop di Dakar. È stato direttore di molti progetti di ricerca archeologica nella media valle del Senegal (Gangel-Sule, LoumbolAmar, Sincaan, Sincu-Bara, ecc). Augustin F.C. Holl è consulente internazionale, ricercatore associato al Field Museum di Chicago, visiting professor all’università Cheikh Anta Diop di Dakar e professore all’università Paris X, Paris-Ouest Nanterre-La Défense.