Leda Was a Swan (“Leda era un cigno”) di Marianna Simnett si dispiega come un garbuglio di carne e piume, in cui un antico mito di violenza è incarnato in una narrazione di piacere. L’opera, appositamente concepita e realizzata per Pompeii Commitment. Materie archeologiche, combina scenografia, design di costumi, performance, video, suono e intelligenza artificiale (IA), prendendo ispirazione dall’affresco comunemente definito “erotico” di Leda e il Cigno, rinvenuto nel 2018 nel Parco Archeologico di Pompei presso la cosiddetta Casa di Leda. In occasione della Digital Fellowship dell’artista, l’opera è presentata online insieme ad una ampia raccolta di fotografie e immagini di backstage che svelano le diverse fasi di produzione.
Rinomata per la sua esplorazione del corpo come spazio-tempo di trasformazione, Simnett ha rintracciato le azioni mitiche di Giove – che notoriamente si mutò in un cigno per ingannare e violare Leda – impersonando sia Leda che il cigno. L’artista ha utilizzato un modello personalizzato di IA per generare una sequenza animata accompagnata da una composizione per flauto che ne costituisce la colonna sonora, eseguita dalla stessa Simnett e guidata dal suo respiro. Sia le immagini in slow-motion che il suono malinconico dell’opera, avvolgono e trascinano lo spettatore nel cuore del mito classico, mentre questo è al contempo stravolto in un racconto nuovo. Nelle mani di Simnett, vittima e aggressore si scontrano flemmaticamente prima di implodere in una cosa sola, o forse di essere smembrati e ricomposti in un ammasso viscerale (al contempo analogico e digitale) composto di texture morbide e curve pronunciate. Assecondando una reinterpretazione femminista del mito, nel video il cigno viene sconfitto; il suo collo teatralmente ricoperto di sangue, docilmente reclinato mentre i riflettori si spostano sullo stato psicologico di Leda. La differenza, in questo caso specifico, è che il mostruoso e bestiale “altro” è Leda stessa. Leda Was a Swan sembra dunque fungere come testimonianza da interpretare in termini archetipici, obbedendo a quei simboli e schemi universali che esistono nell’inconscio collettivo e si esprimono attraverso miti e racconti nelle diverse culture ed epoche. Piuttosto che raffigurare l’aggressore come “altro”, Simnett integra questa figura nel sé, potenzialmente consentendo l’emergere di sentimenti primordiali e moralmente scioccanti. Pensieri repressi, innati ed ereditati, trovano così espressione consapevole, oltrepassando aspettative di genere e ansie sociali connesse a secoli di patriarcato che hanno storicamente plasmato anche le rappresentazioni e narrazioni degli antichi miti.
E’ interessante notare che tra i riferimenti di Simnett vi sono anche le tecniche del vaudeville, il teatro delle ombre, la marionettistica e il ventriloquio, in cui i ruoli opposti di domatore e domato vengono impersonati giocosamente da un unico attore. L’artista ha ricoperto i ruoli di maestro e burattinaio nel processo produttivo stesso, sia manovrando le ali di cigno della marionetta con una mano mentre l’altra diventava il becco e il collo dell’animale, sia ragionando in maniera critica non solo sulle collisioni tra umano e animale, ma anche su quelle tra umano e macchina derivanti dall’utilizzo di IA. Simnett si è infatti scontrata con le tendenze dell’IA, che evita la cronologia narrativa, predilige punti di vista frontali ed accentua forme eccessivamente sessualizzate della femminilità. L’artista ha rifiutato i primi test generati da prompt testuali – qui mostrati tra il materiale di backstage incluso nella Digital Fellowship – preferendo addestrare il modello di IA con immagini interamente auto-prodotte e in seguito ulteriormente rielaborate dalla tecnologia per ricreare il mito originale. D’altro canto, invece, il potenziale psichedelico tipico dell’IA è stato accolto per meglio esprimere nozioni di metamorfosi e fusione generativa. Qui una femminilità zombificata, lontana dagli stereotipi iper-sessualizzati che popolano l’immaginario dell’IA su internet, acquisisce un’eleganza dai toni oscuramente ironici. Proprio la frivolezza è del resto uno strumento vitale nella pratica artistica di Simnett, utilizzata come strategia per trascinare lo spettatore nel vivo dell’opera prima che l’intensità psicologica prenda il sopravvento. A metà del video, la testa del cigno (o la mano di Leda) è mostrata intimamente vicina alla regione pubica della ragazza, teatralizzata attraverso un parrucchino. L’allusione alla masturbazione trasforma una penetrazione non consensuale in piacere, impiegando un’irriverenza che deride la dimensione sensuale, persino seducente, che per lungo tempo ha investito il mito di Leda e il cigno. Questo è l’unico momento in cui il set, ottenuto facendo accurato riferimento agli interni raffigurati nell’affresco pompeiano, cambia a favore di un ambiente naturale, come a suggerire la presenza di un portale verso un’altra dimensione o il racconto di un’esperienza estatica.
Non è la prima volta che l’artista utilizza l’IA per reinterpretare miti greco-romani: Blue Moon (2022) era dedicato ad Atena e al suo flauto scartato con disprezzo, mentre GORGON (2023) ricontestualizzava l’entità mitologica in una fiaba contemporanea sull’amore, l’invidia, il potere e l’empatia nell’era del machine learning. Simnett ama i mostri voraci, la cui brutalità piuttosto naturale risiede nella femminilità e nell’animalità anche umana. Lo stesso cigno è apparso in precedenza nell’opera chimerica Hyena and Swan in the Midst of Sexual Congress (2019), una scultura di grandi dimensioni che rappresenta un improbabile incontro sessuale tra i due animali, con il cigno come figura dominante. In termini simbolici, la creatura alata è un uccello liminale capace di vivere nell’acqua e sulla terra, nello spirito e nella materia. Il suo lungo collo fallico ed il corpo arrotondato e setoso portarono gli alchimisti ad associarlo all’unione degli opposti. Lo psichiatra e psicoanalista Carl Gustav Jung interpretò il cigno come un simbolo di trascendenza, un’unità primordiale in cui maschile e femminile sono inconsciamente congiunti e quindi non consciamente differenziati.
Nel complesso, Leda Was a Swan riscrive un mito che – nonostante le sue molteplici e ripetute interpretazioni nel corso della storia antica e moderna – risuona ancora nelle ideologie di genere contemporanee, dimostrando come anche un sito come il Parco Archeologico di Pompei possa essere un luogo di storie stratificate e dinamiche, in cui l’atto di sperimentare con l’etica della riscrittura e della rilettura della storia significa innescare e tramandare poetiche alternative dell’esistenza. Simnett sovverte quindi le interpretazioni di una storia ereditata dal passato, stimolando una rinnovata immaginazione che riempie lacune ambigue pur mantenendo una certa opacità e una materialità fangosa seppure digitale. I personaggi muti del video, i delicati momenti di pausa della colonna sonora e la qualità ipnotica dell’animazione danno origine ad un’inquietante realizzazione: Leda è sempre stata il cigno, non avevamo ascoltato le nostre viscere. CA
1. Immagine
Ritrovamento dell’affresco di Leda e il cigno (dettaglio), 2018
fotografia
Courtesy il Parco Archeologico di Pompei
Photo: Cesare Abbate
2. Video
Marianna Simnett
Leda Was a Swan, 2024
video loop, suono, colore
Courtesy l’Artista e Société, Berlino
Immagine in home page: Marianna Simnett, Leda Was a Swan (video still), 2024. Courtesy l’Artista e Société, Berlino
Marianna Simnett (1986, Londra, Inghilterra) è un’artista multidisciplinare le cui narrazioni immersive ruotano attorno a tematiche stratificate e talvolta contrapposte come la vulnerabilità, l’autonomia, il controllo, il dolore, la metamorfosi e la cura. Il lavoro di Simnett è stato esposto internazionalmente in mostre personali presso sedi quali Hamburger Bahnhof, Berlino (2024); LAS, Berlino (2023); Société, Berlino (2022); Institute of Modern Art, Brisbane (2019); Kunsthalle Zürich, Zurigo (2019); MMK, Museum für Moderne Kunst, Francoforte (2018); The New Museum, New York (2018) e Zabludowicz Collection, Londra (2018). Tra le mostre collettive selezionate ricordiamo Chrysalis: The Butterfly Dream, Centre d’Art Contemporain Genève (2023); la 59ª Biennale di Venezia: The Milk of Dreams (2022); Espressioni: L’Epilogo, Castello di Rivoli, Torino (2022); e il Premio della Böttcherstraße, Kunsthalle Bremen (2022).