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© Pompeii Commitment. Archaeological Matters, un progetto del Parco Archeologico di Pompei, 2020. Project partner: MiC.
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Negar Azimi e Giovanna Silva. Letters VI 16, VI 20

Commitments 19    20•05•2021

Negar Azimi e Giovanna Silva
Letters VI 16, VI 20, 2021
e-mail, fotografie digitali
Courtesy delle artiste

Il contributo di Negar Azimi e Giovanna Silva per Pompeii Commitment assume la forma di un epistolario, composto tra marzo e maggio 2021. La corrispondenza tra le due autrici prosegue ormai da un anno, ma questa parte specifica del loro scambio di e-mail nasce dal viaggio di due giorni intrapreso da Silva nel sito archeologico di Pompei per fotografarne i depositi. Azimi, scrittrice prolifica e caporedattrice che vive e lavora tra New York e L.A., non ha mai visto Pompei di persona, e certamente non avrebbe potuto visitarla in questo periodo a causa delle rigide restrizioni alle frontiere imposte dalla pandemia di Covid-19. Le circostanze estreme determinate dalla crisi sanitaria mondiale trasformano la forma epistolare in una necessità, quasi più che una scelta stilistica, che consente lo scambio dialogico delle conoscenze e la creazione di opportunità per condividere esperienze, assumendo la distanza fisica come premessa comune. Si potrebbe anche aggiungere che, in un periodo in cui gli incontri virtuali rigidamente programmati e limitati nella durata stanno diventando sempre più la norma sociale, la narrazione lenta e osmotica di Silva e Azimi assume un valore ancora maggiore, svolgendosi attraverso i loro principali media (rispettivamente fotografia e scrittura). Questo tipico realismo del genere epistolare, il cui formato rispecchia i meccanismi della “vita reale”, si intreccia con le associazioni creative scaturite dalla memoria e dall’intuizione delle autrici, che si possono definire relazionali e tutt’altro che solitarie. Il viaggio di Silva a Pompei avviene in un momento particolarmente significativo in quanto il sito non solo è completamente vuoto, essendo stato chiuso al pubblico a causa dell’emergenza Covid-19, ma è anche avvolto dalla nebbia. “Il vulcano, sempre così presente, non c’era. Dov’era finito il Vesuvio?” si chiede Silva. Il suo viaggio offre quindi un resoconto inaspettato di una Pompei privata dei suoi visitatori (fino a 2,5 milioni di persone ogni anno) e perfino del suo vulcano. “Venezia è sempre Venezia senza i suoi turisti? È un vero dilemma”, si chiede Azimi. Le fotografie di Silva non fanno affidamento a soggetti fotogenici bensì fanno resistenza alla piacevolezza delle immagini da cartolina di largo consumo. Infatti, ella spiega di preferire i cieli grigi, qualcosa che può sembrare paradossale e tuttavia così prezioso in un’epoca in cui la produzione delle immagini è incentivata dai filtri abbellenti della augmented reality. Il flusso a zig-zag dello scambio tra le autrici crea uno spazio di “intimità pubblica” – una sorta di versione letteraria delle terme romane fotografate da Silva a Pompei – portando il lettore a sentirsi vicino e in sintonia con i mondi personali delle autrici e con la costellazione di riferimenti a temi impegnati ma anche ad argomenti quotidiani, che spaziano nel tempo e nello spazio. Ne deriva l’effetto di sentirsi vicini anche alla stessa Pompei, simbolo storico dell’imprevedibilità e del rischio fatale della vita, che, vissuta tramite gli occhi e le riflessioni di queste due donne contemporanee, ci appare molto vitale. Citando Silva che a sua volta cita Azimi, è proprio vero che “forse nel caos c’è sempre qualcosa di salutare”. SB

Altre foto di Giovanna Silva, protagoniste di Inventario #18, documentano quattro depositi di Pompei (Boscoreale, Terme Femminili, Granai del Foro, Casa Bacco), normalmente chiusi al pubblico. È una delle primissime volte che questi spazi sono fotografati e pubblicati, offrendo la possibilità di valorizzare un aspetto meno noto ma fondamentale del vasto patrimonio di Pompei. Le fotografie di Giovanna Silva sono state scattate nell’ambito di Cantica21, un programma promosso dal Ministero della Cultura italiano.

Immagine in home page: Negar Azimi e Giovanna Silva, Letters VI 16, VI 20, 2021. © Giovanna Silva. Courtesy le Artiste

Negar Azimi è scrittrice e capo redattrice di Bidoun. I suoi scritti sono apparsi su ArtforumBookforumFriezeThe New YorkerThe New York Review of BooksThe New Yorker tra gli altri. Il suo progetto curatoriale più recente, con i colleghi Tiffany Malakooti, Babak Radboy e Klaus Biesenbach, è una retrospettiva sullo scomparso regista teatrale d’avanguardia Reza Abdoh, tenutasi al MoMA/PS1, New York, e al KW Institute, Berlino. È appena uscita una monografia su Abdoh di cui è co-curatrice. Insieme a Pati Hertling, conduce la serie epistolare Deadlines and Divine Distractions. Attualmente sta lavorando a un libro sull’Iran negli anni 60 e 70, che verrà pubblicato a breve da Penguin.

Giovanna Silva vive e lavora a Milano. Fra il 2005 e il 2011 ha collaborato con le riviste Domus e Abitare. Tra le monografie sul suo lavoro si ricordano: la serie “Narratives/Relazioni”: Baghdad, Green Zone, Red Zone, Babylon; Libya: Inch by Inch, House by House, Alley by Alley; Foxtrot Gate: Cyprus; Syria: A Travel Guide to Disappereance; Afghanistan: O Rh; 17 April 1975; Tehran (Mousse Publishing); Good Boy e Walk Like an Egyptian (Motto Publishing); Palmyrah e Niemeyer 4ever (Art Paper Editions) Mr. Bawa, I Presume (2020, Hatje Cantz); e UN (2020, bruno). Ha partecipato alla 14.Mostra Internazionale di Architettura di Venezia con il progetto Nightswimming, Discotheques in Italy from the 1960s Until Now. È fondatrice e caporedattrice di Humboldt Books. Fa parte del board editoriale del magazine “San Rocco”. Insegna alla NABA di Milano, allo IUAV di Venezia e all’ISIA di Urbino.

Pompeii Commitment

Negar Azimi e Giovanna Silva. Letters VI 16, VI 20

Commitments 19 20•05•2021
giovanna silva <g******@gmail.com>
A: Negar Azimi <n*****@gmail.com>
Dom 14 marzo 2021 alle ore 12:37

Mia cara Negar,

sono arrivata a Napoli oggi.

Dal finestrino del treno, riuscivo a scorgere il Vesuvio in lontananza. La sua vista ha risvegliato in me lontani ricordi, racconti fantastici della scuola elementare e animali domestici pietrificati per sempre dalla cenere. Mi riporta anche alla mente le lezioni di latino della mia infanzia: “Vesuvius” era spesso l’unica parola che riuscivo a riconoscere all’interno di una frase per il resto indecifrabile. Odiavo il latino. Preferivo il greco.

Ti ho mai detto di aver scritto la mia tesi di laurea su questo vulcano? Ho trascorso un intero anno a Napoli, cercando di capire in quale modo le persone potrebbero sopravvivere a un’altra grande eruzione. Era un po’ come vestire i panni di un giovane e moderno Plinio, studiando il Vesuvio da lontano. Fortunatamente, non ho subito il suo stesso destino.

Per me, Pompei era e continua ad essere l’esempio più vivido di tragedia di massa che conosca. Tornando anni dopo nel bel mezzo di questo annus horribilis, mi vengono di nuovo in mente i casi imprevedibili della vita.

Sono venuta qui per visitare il sito e i suoi archivi. Il sito è chiuso al pubblico, ma fortunatamente Laura mi farà entrare. Ti immagini camminare in una città vuota, intrappolati in un altro secolo, in un’altra epoca? È emozionante essere qui.

È trascorso esattamente un anno da quando abbiamo iniziato la nostra conversazione e vorrei condividere questa esperienza con te.

Abbiamo parlato molto dell’Italia e abbiamo passeggiato per la mia città, Milano. So che non sei mai stata a Pompei, spero tu possa iniziare a vivere questa storia, questo luogo, tutti questi ricordi vividi anche se sepolti, attraverso le mie foto. Come se tu stessi passeggiando accanto a me.

G


Negar Azimi <n******@gmail.com>
A: giovanna silva <g*****@gmail.com>
Mer 17 marzo 2021 alle ore 02:06

Cara Giovanna,

ti immagino mentre arrivi a Pompei, la vetta del Monte Vesuvio che appare come un cono gelato rovesciato con il suo contenuto sparso per terra.

In uno dei nostri primi scambi mi avevi detto di aver scritto la tua tesi sul Vesuvio. Mi avevi detto che se mai dovessi farti un tatuaggio, sarebbe quello di un vulcano. Poi mi hai chiesto se io avessi un tatuaggio. La conversazione ha poi iniziato a zigzagare e potremmo aver toccato l’argomento di come Emily Dickinson e Virginia Woolf avessero creato degli aggettivi dalla parola vulcano, come in “volto vesuviano”, nel caso della Dickinson. Le sue poesie sono piene di immagini vulcaniche, probabilmente metafore della sua sensualità repressa ma ribollente. Ti immagini un “volto vesuviano”? Io ci sto provando.

Proverò a immaginarti come la reincarnazione di Plinio. Ma intendevi il Giovane o il Vecchio? Da quello che ricordo, il Vecchio era un saggio e un naturalista oltre che uno studioso poliedrico, un po’ come il tuo amato Alexander von Humboldt. Apparentemente morì soffocato dalle ceneri vulcaniche, ma non prima di riuscire a scrivere di aver visto una nuvola “di dimensioni e aspetto insoliti” la cui forma ricordava i pini marittimi di Roma. Oppure intendevi Plinio il Giovane, che nelle sue lettere ci ha fornito l’unico resoconto di un testimone oculare che abbiamo dell’eruzione? Ho sempre pensato che le lettere siano l’arte più perfetta. Penso sarai d’accordo con me.

Suppongo che, per gli italiani, Pompei sia sinonimo dell’inimmaginabile. A proposito di inimmaginabile, ricordo di averti scritto lo scorso marzo proprio quando Milano veniva dichiarata l’epicentro della pandemia europea. Mi trovavo nella sonnecchiante Los Angeles, incredula, non pensavo che l’orrore sarebbe arrivato fino a queste coste. Tu eri chiusa nel tuo appartamento, irrequieta, come un criceto che fa girare continuamente la sua ruota. Mi chiedevo come te la stessi passando.

Non te l’ho detto, ma poche settimane fa ho iniziato ad andare da una veggente. Beh, non è una vera veggente, è più una guida spirituale e uno sciamano con un nome stravagante e un accento ancora più stravagante. Senza sapere molto di me, e sicuramente senza sapere nulla di questo scambio di lettere, mi ha detto che sarei presto sbarcata in Italia. Le ho risposto di non avere in programma un viaggio in Italia ed è finita lì. E invece eccomi qui, pronta a visitare Pompei, con te come intermediaria.

Ci sarebbe molto di più da dire ma mi fermo qui e non vedo l’ora di ricevere le foto di ciò che vedrai. Senza tutti gli americani chiacchieroni dai polpacci grossi, et al. Che meraviglia!

Negar


giovanna silva <g******@gmail.com>
A: Negar Azimi <n*****@gmail.com>
Gio 18 marzo 2021 alle ore 13:53

Cara Negar,

Stamattina mi sono svegliata e ho trovato Napoli avvolta in una fitta nebbia. Questo ha dato un tocco speciale alla mia visita. Vengo dalla città della nebbia; Milano viene spesso liquidata come brutta e nebbiosa. Nelle partite di calcio, uno dei canti contro le nostre squadre dice proprio: C’avete solo la nebbia. In altre parole, ci sono abituata. È stato divertente vedere la sorpresa sui volti dei napoletani che si sono risvegliati in questa atmosfera surreale. In genere Napoli è molto frenetica e rumorosa, ma improvvisamente ho avuto l’impressione che tutto fosse immerso nella panna montata, soffocato nel silenzio.

Ho incontrato Laura alla stazione dei treni. La stazione era vuota e siamo salite a bordo della circumvesuviana, lo stesso treno vecchio e sporco che prendevo quando vivevo a San Giovanni Teduccio durante l’anno della mia tesi. Abbiamo parlato delle nostre vite mentre il paesaggio scorreva veloce, intervallato ogni tanto da scorci della città moderna ai piedi del Vesuvio.

Siamo state le uniche a scendere alla fermata di Pompei e abbiamo subito notato che tutti i negozi di souvenir, di solito affollati, erano chiusi. La mia attenzione è stata attirata da un cartello della Coca-Cola, immagino la copia di una vecchia pubblicità, che rappresentava una donna bionda e formosa degli anni Cinquanta, stesa sotto il sole davanti alle rovine e con il logo della Coca-Cola vicino al suo piede nudo.

Baci,
G

PS Ero Plinio il Vecchio, ovviamente!

Negar Azimi <n******@gmail.com>
A: giovanna silva <g*****@gmail.com>
Dom 21 marzo 2021 alle ore 12:16

Cara Giovanna,

guardando la pubblicità della Coca-Cola, mi viene in mente che il capitalismo tentacolare non conosce limiti. La monetizzazione del patrimonio storico è inarrestabile, no?

L’anno scorso ho osservato le tue foto di città svuotate dei loro protagonisti abituali, come uno spettacolo teatrale disertato dagli attori, ma con il palcoscenico ancora intatto. Venezia è sempre Venezia senza i suoi turisti? È un bel dilemma. Ho la sensazione che potresti dire di sì, ma non sono sicura di essere d’accordo. Sono affezionata – anche se un po’ mi seccano – ai bastoni per il selfie e agli stranieri “mordi e fuggi” starnazzanti che sono parte di così tante città che amiamo.

Entrambe amiamo l’Egitto. Ricordo quando ho visitato le piramidi poco dopo la rivoluzione del 2011 e non trovai nessuno, salvo alcuni disperati che offrivano con insistenza giri sui loro cammelli emaciati per pochi penny. Mi è venuto da piangere.

Sono ansiosa di vedere come è cambiata Pompei dopo tutti questi anni. Quella nebbia sembra evocare un viaggio nel tempo.

Negar


giovanna silva <g******@gmail.com>
A: Negar Azimi <n*****@gmail.com>
Lun 22 marzo 2021 alle ore 4:22

Cara Negar,

provo a ricostruire il nostro arrivo.

Eravamo sole nel sito, talmente sole da poter sentire il suono dei nostri corpi. A causa della nebbia, non riuscivamo a vedere oltre i due metri. Il vulcano, sempre così presente, non c’era. Dov’era finito il Vesuvio?

Sto cercando di trovare le parole per comunicare la sensazione che ho provato in quel momento.

Quando ero piccola volevo essere Indiana Jones. Questa fantasia non mi è mai passata del tutto. Sono attratta dall’avventura, dal vivere sull’orlo del pericolo, anche se in realtà non sono per nulla coraggiosa.

Hai parlato dell’Egitto. È curioso, perché una volta ho provato una sensazione simile visitando la piramide di Dahshur. Ero entrata nella piramide da sola, strisciando su mani e ginocchia lungo un passaggio dove riuscivo a respirare a fatica, a causa dell’odore pungente di ammoniaca. Ho immaginato tutte le persone che erano passate di lì prima di me, per millenni. Andando avanti, il corridoio diventava sempre più stretto fino a quando non sono più riuscita a vedere l’ingresso. Ho avuto questo pensiero: cosa succederebbe se qualcuno chiudesse la porta alle mie spalle? Sarei rimasta intrappolata. Per sempre.

Questo miscuglio di eccitazione e paura ha caratterizzato il mio ingresso a Pompei.

G


Negar Azimi <n******@gmail.com>
A: giovanna silva <g*****@gmail.com>
Gio 25 marzo 2021 alle ore 1:52

Cara Giovanna,

Pompei senza il Vesuvio è un disastro senza origine, un corpo senza testa. Andy Warhol senza il suo “money shot”. Immaginati di arrivare in questo posto senza sapere del vulcano, cercando di mettere insieme i pezzi dell’accaduto, per capire come una città possa essere rimasta sepolta sotto sette metri di cenere. Un mistero e una ricerca. Un po’ come una poesia complessa da decifrare.

Solo di recente ho imparato la parola italiana nebbia. Non sono una linguista ma è ovvio che non è molto lontana dalla parola inglese “nebulous” (nebuloso), ossia opaco, poco chiaro, indefinito. Non sei d’accordo sul fatto che descrive bene i nostri tempi? La nebbia, intendo. Le tue foto hanno una qualità nebulosa, profumano di mistero.

Personalmente, sono contenta che tu non sia scomparsa dentro la piramide a Dahshur. So che fantastichi su una fine glamour.

Fammi vedere, cos’hai trovato all’interno?

Baci,
Negar

giovanna silva <g******@gmail.com>
A: Negar Azimi <n*****@gmail.com>
Lun 29 marzo 2021 alle ore 9:40

Cara Negar,

mentre scorro le foto, mi trovo di nuovo a meditare sulla nebbia, che conferisce alle immagini la qualità di un sogno. Sorrido pensando alla fortuna che ho avuto. In genere, le persone pensano che i fotografi preferiscano i cieli azzurri. Non puoi immaginare quante volte mi sono sentita dire: “Dovresti essere contenta, oggi c’è il sole, è una giornata perfetta per fare foto!” In genere rispondo con un mezzo sorriso cortese ma in realtà prediligo le ambientazioni meno “da cartolina”. Pompei potrebbe essere colorata e piena di turisti, una versione saturata della realtà, ma io preferisco l’eccezione.

La nostra prima destinazione sono state le Terme Femminili, oggi adibite ad archivio. Ho trascorso un’ora entusiasmante tra teschi, tibie e femori, riesumati dalla cenere. Tutto era fastidiosamente sistemato e catalogato come nell’appartamento di un serial killer affetto da disturbo ossessivo-compulsivo. La luce filtrava da piccoli fori sulle pareti, fori che in passato forse servivano a far uscire il vapore. Lo spazio era umido e buio, quindi ho usato un’esposizione lunga, e mentre attendevo il secondo click, i miei occhi vagavano per la stanza…

Per un minuto, mi sono sentita Indiana Jones.

G


Negar Azimi <n******@gmail.com>
A: giovanna silva <g*****@gmail.com>
Mer 7 aprile 2021 alle ore 1:49

Cara Giovanna,

ammiro la tua resistenza verso le immagini da cartolina, la tua predilezione per le giornate cupe e nuvolose.

Teschi, tibie, femori sepolti sotto la cenere vulcanica. Tu, figlia di psicoanalisti, ne sai qualcosa di verità sommerse.

Mi viene in mente un piccolo libro perfetto di Tom Keenan ed Eyal Weizman. So che lo conosci: Mengele’s Skull (Il teschio di Mengele), parla dei resti di Josef Mengele, un criminale di guerra nazista. C’è una frase che dice più o meno così: “Le ossa possono parlare?”

Se sì, cosa ci direbbero?

Negar


giovanna silva <g******@gmail.com>
A: Negar Azimi <n*****@gmail.com>
Dom 11 aprile 2021 alle ore 7:09

Cara Negar,

quanto ai miei genitori analisti, hai ragione, è probabile che mi abbiano inconsapevolmente istruita nell’arte di andare alla ricerca di verità sepolte. Ho passato tutta la vita a cercare, anche se non so bene esattamente cosa.

Dopo le Terme Femminili, siamo entrate nelle Terme Stabiane, che credo siano tra le terme più antiche di epoca romana. Stando lì in piedi, ho avuto la sensazione di vedere apparire bagnanti nudi tutti intorno a me. A scuola ci hanno parlato dell’importanza delle terme per gli antichi Romani, del fatto che non erano concepite per andarci da soli ma che erano luoghi in cui si discuteva e si prendevano decisioni. Rimpiango la perdita di questo rituale! Siamo diventati così casti. Tornando alle ossa che ci parlano, sì, riesco a sentire il loro chiacchiericcio qui nelle terme.

Nel lato nord delle terme, ho trovato il Frigidarium, ossia la piscina di acqua fredda. Le persone arrivavano qui dopo essersi immerse nelle acque calde del Tepidarium. Sembra che faccia bene ai pori della pelle. Sul soffitto del Frigidarium vedo centinaia di stelle, mi ricordano gli adesivi in plastica fluorescente che i bambini incollano sul soffitto delle loro camere. Sono ossessionata dalle stelle e molte volte ho tentato di apprendere i principi fondamentali dell’astrologia. Non ci sono mai riuscita.

Ricordi la scena in cui Virginia e Sally vanno a vedere le stelle in La signora Dalloway? Purtroppo vengono interrotte da Peter che le riporta alla triste realtà.

G

Negar Azimi <n******@gmail.com>
A: giovanna silva <g*****@gmail.com>
Ven 23 aprile 2021 alle ore 2:53

Cara Giovanna,

mi vergogno di dirti che ho letto La signora Dalloway per la prima volta solo molto recentemente, ma come potrei non ricordare la scena in cui guardano le stelle di cui mi parli? Come lettrice ho desiderato che Peter scomparisse! È l’intruso maldestro in un momento romantico quasi perfetto. Ripensandoci adesso mi viene in mente un dipinto di Tiziano alla National Gallery di Londra, forse lo conosci, che ritrae Atteone mentre si imbatte in un gruppo di dee e ninfe… che stanno facendo il bagno. Diana potrebbe essere una di loro? Le immagino mentre si divertono, si lavano, si toccano, chiacchierando di temi impegnati ma anche di cose quotidiane.

Adoro l’idea delle terme come spazio civico. Una cripto-agorà. Anche per le donne. Come dici tu, ormai fa parte del passato, considerati i salari della modernizzazione, l’idraulica di oggi e tutto il resto. Per quanto riguarda la castità di cui ti lamenti, ricordo di aver letto da qualche parte che Pompei era stata a lungo sinonimo di peccato, una sorta di località turistica dionisiaca al servizio di ricchi Romani e Napoletani. Lo sapevi? A quanto pare, le parole Sodomo Gomora furono trovate anni dopo, scarabocchiate su qualche muro…

Sono qui seduta a Los Angeles a guardare le tue foto di questi luoghi un tempo brulicanti di vita. E anche se adesso sono vuoti, mi sembra di sentire delle voci. Immagino che in quasi tutta Pompei l’effetto sia lo stesso.

Negar


giovanna silva <g******@gmail.com>
A: Negar Azimi <n*****@gmail.com>
Sab 24 aprile 2021 alle ore 4:51

Cara Negar,

certo anch’io volevo che Peter scomparisse. Sono legata alle idee romantiche sull’amore e spero sempre che il sentimento prevalga sulla ragione. La signora Dalloway sceglie Peter, fa una scelta convenzionale. Ma ovviamente tifo per la sua amicizia con Sally destinata a infrangersi di lì a poco.

Per quanto riguarda le terme, pensi che i bagnanti avessero capito cosa stava per succedere quando ebbe inizio l’eruzione? O erano troppo rilassati per accorgersene?

Sono uscita dalle terme per andare nella Casa del Menandro, che prende il nome di un drammaturgo greco dell’antichità di cui troviamo il ritratto ad affresco in un piccolo ambiente fuori dal peristilio. Entrando nella casa, ciò che mi ha colpito di più sono state le pareti gialle e rosse. Mi hanno ricordato Rothko e Burri allo stesso tempo. I colori sono così intensi e caldi. Se guardi con attenzione, puoi distinguere un cavallo di legno e una donna raffigurata a sinistra dell’atrio, che probabilmente rappresenta Cassandra e il suo sfortunato destino. È circondata da guerrieri. Nessuno l’ascolta.

Sai che amo la tragedia greca. Il mio drammaturgo preferito è Euripide. Quando ero alle superiori ero ossessionata da Cassandra, Medea, Ifigenia. Tutte donne sfortunate. Di nuovo, il sentimento che prevale sulla ragione…

Ricordo che leggendo Cassandra di Christa Wolf, mi ero annotata una citazione che all’epoca non avevo compreso: “Dovevo tornare a essere me stessa. Ma me stessa non esisteva.”

Ti saluto, con lo stato d’animo tipico di Jane Austen.
G


Negar Azimi <n******@gmail.com>
A: giovanna silva <g*****@gmail.com>
Mar 27 aprile 2021 alle ore 12:56

Cara Giovanna,

non ho mai assistito a un’eruzione vulcanica, ma avendo trascorso insolitamente molto tempo in California, conosco bene i terremoti. Credo di averti inviato degli SMS durante alcuni dei peggiori eventi tettonici dell’anno scorso. So di averlo fatto.

Mia madre mi avvisava sempre di non dormire mai nuda, giusto nel caso in cui dovessi schizzare fuori dal letto per un terremoto. Allo stesso modo, mi dice sempre di spazzolarmi i capelli perché “Non si può mai sapere chi si incontra.” Un classico commento da mamma.

Nel suo romanzo Corinna o l’Italia, la storia di due amanti del XVIII secolo che vagano per le rovine di Pompei recentemente scavate, Madame de Staël descrive in modo eloquente la “brusca invasione della morte”. Viene naturale pensare alle situazioni scomode in cui ci si può trovare al momento di un disastro, ad esempio mentre si sta commettendo un crimine o ci si sta intrattenendo con l’amante… tutto questo per dire che immagino che alcuni abitanti di Pompei siano stati sorpresi proprio mentre erano alle terme. Su Google ho letto che l’eruzione durò 18 ore, ma ebbe inizio di mattina.

Le tue immagini della Casa del Menandro sono oniriche. Amo la gamma cromatica dei Romani. Ho letto da qualche parte che Maria Antonietta si era ispirata alle decorazioni di Pompei per le sue stanze a Fontainebleu. Nonostante tutti i suoi vizi, aveva sicuramente buon gusto. Immagino che ci fu un revival dello stile pompeiano in Europa quando Ercolano venne riportata alla luce, un po’ come la scoperta della tomba di Tutankamon scatenò una vera e propria egittomania tra i vittoriani. Feste in cui si spacchettavano le mummie e così via.

Ho saputo che la Casa del Menandro era anche chiamata “la casa dell’argenteria” per via delle abbondanti quantità d’argento trovato all’interno. Ti immagini gli archeologi arrovellarsi sui nostri spazi più intimi? La Casa del pelo di gatto, la Casa delle ciambelle, la Casa delle riviste sconce… Nel tuo caso, sarebbe la “Casa dei libri”, visto che vivi circondata dai libri.

Sei mai stata al Villa Getty a LA? È una ricostruzione decadente voluta da J. Paul Getty di una villa pompeiana del 79 AD sepolta dalle ceneri. Offre un’esperienza visiva insolita del mondo classico; tutto è lucido e nuovo invece che consumato dal tempo come ci si aspetterebbe di vedere ciò che resta del mondo greco-romano. L’edificio ha ispirato una delle mie frasi preferite in tutta l’opera di Joan Didion. Dice all’incirca così: “Il Getty è un contratto tangibile tra i più ricchi e le persone che diffidano meno di loro.” Non è fantastico? Penso che Getty credesse in questa frase di Proust: “L’unico vero paradiso è il paradiso perduto.”

Dimmi, dove sei andata dopo?

Baci,
Negar

PS Darò un’occhiata a Cassandra di Christa Wolf.

giovanna silva <g******@gmail.com>
A: Negar Azimi <n*****@gmail.com>
Mer 28 aprile 2021 alle ore 4:16

Cara Negar,

potresti dire a tua madre che penso spesso la stessa cosa? Sono sempre sul punto di andare in ospedale. In caso di incidente, voglio presentarmi in ordine ai medici. Forse questo fa di me una narcisista. Una specie di narcisista pessimista.

Lavorando alla mia tesi, ho intervistato persone che vivevano nella cosiddetta “zona rossa” di Napoli, ossia talmente vicino al vulcano da soccombere sicuramente in caso di eruzione. Era stato offerto loro denaro, in alcuni casi fino a 30.000 euro, per andare via, ma non hanno ceduto.

Con il passare del tempo, nella zona rossa si è venuta a creare un’economia locale incentrata sulla produzione dei pomodori e sulle location per matrimoni. Oggi, l’area attorno al vulcano è una delle zone più densamente popolate d’Europa. Anche se i residenti non intendono andarsene, molti tengono le valige pronte sotto al letto con beni di prima necessità. Ti immagini vivere in questo modo? Sempre pronti alla fuga?

Non ho mai vissuto un terremoto in prima persona ma nella mia vita ho visto molte eruzioni. Da bambina ero andata in Congo con mio padre dove abbiamo assistito all’eruzione del Monte Niyragongo. Ero sulle sue spalle e ricordo che la terra era così calda che le sue scarpe hanno iniziato a sciogliersi.

Anni dopo ho viaggiato in Islanda, dove ho fotografato le Isole Westman vulcaniche, e in seguito sono andata a Stromboli, dove ho iniziato a sognare una vita diversa. Ma questo è l’argomento di un’altra lettera, da affrontare in un altro momento.

Ci sono altre eruzioni nella mia testa, alcune tratte dalla memoria, altre che si confondono con Sans Soleil di Chris Marker, La Soufrière di Herzog o Vulcano, con Anna Magnani, il film che fece dopo essersi lasciata con Rossellini, il quale nello stesso momento stava facendo delle riprese per un’altra storia d’amore, ambientata vicino a un altro vulcano. Credo fermamente nel potere dei vulcani di cambiare la vita delle persone. Perché hanno cambiato la mia.

Ho letto Joan Didion, ma non sono mai stata a Villa Getty.

Quando riprenderò a viaggiare, verrò a LA, la mia città preferita, e andrò a vedere questo mostro neoclassico che mi descrivi.

Verresti con me?

G

PS Più tardi ti mando un altro messaggio con alcune foto


giovanna silva <g******@gmail.com>
A: Negar Azimi <n*****@gmail.com>
Gio 29 aprile 2021 alle ore 3:10

Cara Negar,

come piace dire a te, Cos’altro?

È quasi ora di pranzo e sono sveglia dalle 6. Le guardie ci hanno scortato fino alla Casa del Frutteto e poi se ne sono andate.

Quello che mi piaciuto di più è stato lo spirito della casa. Gli affreschi, molti dei quali raffigurano i giardini da cui la casa prende il nome, non sono stati concepiti per la parte pubblica della casa, ma per quella privata. Riesci a vedere il serpente che sale su una pianta di fico? Sembra che il serpente sia simbolo di prosperità.

Solo dopo essere uscite ho saputo che c’erano delle scene raffiguranti il culto di Iside che mi sono persa. Mi prendo a calci per questo. Ma guarda le figure nella prima stanza: non ti ricordano un po’ gli Egizi? Mi sono fermata a immaginarmi il proprietario della casa. Chi era? Aveva una passione per l’Egitto come noi? Mi diverte fare supposizioni.

A volte vorrei aver fatto l’archeologa, anche se, a essere onesti, non sono totalmente sicura di poter vivere nell’incertezza in cui lavorano gli archeologi.

G


Negar Azimi <n******@gmail.com>
A: giovanna silva <g*****@gmail.com>
Lun 3 maggio 2021 alle ore 12:57

Cara Giovanna,

mi interessano gli abitanti della zona rossa che vivono, in teoria, a pochi secondi dalla morte e dalla distruzione. Mi sarebbe piaciuto sentirti parlare con loro, arrovellarti su ciò che li spinge a comportarsi in questo modo. Dopo tutto, tu hai in comune qualcosa con loro. Ricordo l’uomo rimasto solo in La Soufrière di Herzog, che non voleva andarsene, anche dopo che l’ultimo isolano era fuggito di fronte all’imminente eruzione. Cosa gli sarà passato per la mente?

Stavo pensando, forse c’è qualcosa di salutare in ogni pasticcio. Plinio il Vecchio ha scritto di come il Vesuvio e le sue eruzioni abbiano probabilmente contribuito alla rigogliosità della regione Campania: pensa a tutti quei vigneti, ulivi e campi. Una bella idea. Non è stata la pandemia a darci il nostro scambio di email?

Nel frattempo, sono felice di vedere la Casa del Frutteto e, come li hai definiti, i suoi affreschi destinati a occhi privati. Lo sapevi che nell’architettura persiana esiste una dicotomia tra interno ed esterno, che chiamiamo “andarouni” e “birouni?” I Persiani prediligono l’interno e decorano i loro cortili interni con giardini sontuosi e fontane gorgoglianti mentre costruiscono esterni che tendono a essere anonimi. Mi è sempre piaciuto questo: tenere il meglio per sé e i propri cari, soprattutto in un momento storico, come quello attuale, in cui sembra che a tutti piaccia pavoneggiarsi.

Per quanto riguarda le tue supposizioni, potresti essere un’egittologa nella tua prossima vita. Egittologia-Marxismo-Psicoanalisi: la mia trinità preferita. Ancora una volta una fede ardente nelle strutture invisibili che governano questo mondo.

Mi piace immaginare che il proprietario della casa fosse devoto a Iside. Il legame tra antica Roma e antico Egitto è come la fusione tra due colossal di successo. Dimmi, quale divinità avresti venerato nell’Antico Egitto?

Aspetto di sapere com’è andato il resto della tua giornata…

Con affetto

Negar

giovanna silva <g******@gmail.com>
A: Negar Azimi <n*****@gmail.com>
Lun 3 maggio 2021 alle ore 7:49

Cara Negar,

mi sarebbe piaciuto essere Imhotep, l’architetto della famosa piramide a gradoni di Saqqara. Divenne una divinità grazie ai suoi progetti.

Ho desiderato diventare architetto dall’età di 5 anni. Pensavo che se fossi diventata un grande architetto, avrei potuto essere anche una divinità. Per questo ho frequentato la scuola di architettura. Ma come sai, non ho mai esercitato. E sicuramente non sono diventata una divinità.

Dopo l’esplorazione la Casa del Frutteto era arrivato il momento di andare via. La nebbia si era ormai dissolta e il sole splendeva alto in cielo.

Abbiamo camminato fino all’Anfiteatro e poi abbiamo attraversato la Necropoli. Tutto quel verde mi ha ricordato un po’ l’Appia Antica a Roma e il Mausoleo di Cecilia Metella. Pensi che tutte le necropoli si assomigliano?

Ti sto scrivendo dalla mia città natale fredda e solitaria e Pompei mi appare come un sogno lontano.

Ho rovistato tra i file alla ricerca della mia tesi e alla fine l’ho trovata. Sono passati vent’anni dall’ultima volta che ho aperto questo quaderno pieno di appunti e Polaroid incollate. Ti allego alcune immagini. Una è l’immagine di un cane acciambellato. È stato trovato in questo modo, perfettamente conservato dall’eruzione.

Sai quanto io ami i cani. Questa foto mi è molto cara. È un ritratto della resilienza, in un certo modo. Ma è anche triste, perché è probabile che i cani e gli altri animali abbiano avvertito il disastro imminente prima degli uomini. Ne sono sicura.

Credo di aver chiuso il cerchio.

Grazie, come sempre, per le storie che riesci a farmi raccontare.

Come dici tu, c’è sempre qualcosa di salutare in ogni pasticcio.

Baci,

G