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© Pompeii Commitment. Archaeological Matters, un progetto del Parco Archeologico di Pompei, 2020. Project partner: MiC.
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Deborah-Joyce Holman. Framing Pompeii

Digital Fellowship 10    09•05•2024

Quando Pompei emerse per la prima volta dalle ceneri del Vesuvio nel 1748, non fu subito acclamata come una meraviglia archeologica. I suoi edifici e il suo assetto urbano – osservabili attraverso buche scavate tra i vigneti e le fattorie che occupavano il fertile strato vulcanico – furono percepiti come di dimensioni ridotte e privi di grandiosità rispetto ad altri siti antichi come Paestum.1 Anche Johann Wolfgang von Goethe, durante il suo viaggio in Italia dal 1786 al 1788, riferì di essere rimasto stupito dalle “piccole case senza finestre, le stanze illuminate unicamente dalle porte, le quali si aprono sull’atrio e sui portici. Gli edifici pubblici stessi, le tombe presso la porta, un tempio e pure una villa nelle vicinanze, si direbbero quasi modellini e case di bambola, anziché veri edifici”. 2  Pompei, con la sua varietà di domus, sembrava rivelare la vita dei suoi abitanti offrendo scorci di quotidianità piuttosto che di grandiosità, ed è proprio da qui che Deborah-Joyce Holman è partitǝ per la sua Pompeii Commitment. Archaeological Matters – Digital Fellowship.
Negli ultimi anni l’artista si è gradualmente concentratǝ sulla creazione di immagini attraverso le quali riflettere sulle complessità della politica della rappresentazione, così come del rapporto tra questa e le culture visive popolari, il capitale e l’ideologia occidentale. Esplorando il dilemma tra invisibilizzazione e rifiuto attivo, attraverso l’assenza, Holman respinge l’economia della spettacolarizzazione – che sia attraverso l’impiego di una scrittura asemica labirintica al posto di una narrazione lineare, nelle sue opere di immagini in movimento, o avvalendosi di ripetitività e larga durata per sovvertire il consumo passivo delle immagini. L’artista ricerca la potenzialità del rifiuto in quel quotidiano domestico che diventa uno spazio per la quiete e l’interiorità, nonché per un’organizzazione politica dal basso. In questo senso, guardare alla domus pompeiana – con la sua peculiare organizzazione degli spazi per la sfera pubblica e la sfera privata – e al modo in cui questa è ed è stata compresa, mediata e interpretata, diventa un interessante case study in cui i luoghi intimi del quotidiano si intrecciano con la rappresentanza pubblica e le manifestazioni di potere.
Durante la sua Digital Fellowship, Holman ha messo a confronto la sfera domestica di Pompei con le sue rappresentazioni storiche ed i suoi retaggi nella storia dell’architettura. Già nel XVIII secolo la simmetria, l’ordine e l’armonia dell’architettura pompeiana risuonavano con gli ideali neoclassici di equilibrio e proporzione; e architetti come Charles Percier e Pierre François Léonard Fontaine incorporarono motivi classici ed elementi decorativi pompeiani nei loro progetti. Ma è nel XIX secolo e all’inizio del XX che è l’organizzazione spaziale delle abitazioni private di Pompei ad esercitare un’influenza sul pensiero architettonico. I principi funzionalisti del Modernismo riecheggiarono nella disposizione pratica e nel design utilitaristico della domus pompeiana. Architetti come Le Corbusier ne ammiravano l’efficienza e la semplicità, e consideravano la sua chiusura programmatica verso la strada, contrapposta alla sua trasparenza visiva interna, come un modello per l’abitare moderno.Holman ha esaminato come questi movimenti culturali e storici abbiano influenzato la nozione di domus pompeiana, rendendola una proiezione intrecciata con il soft power che le discipline creative ebbero nella storicizzazione dello splendore occidentale e dell’ordine mondiale che esso proponeva. Framing Pompeii (Inquadrare Pompeii) ambisce piuttosto a riportare in primo piano quel momento di quotidianità da “case di bambola”, come descritto da Goethe, e propone una serie di fotogrammi cinematografici con cui interrogarsi sulla possibilità di distanziarsi criticamente dall’ipermediazione attraverso cui Pompei è stata mitizzata.
Holman tenta una strategia diversa dall’estrazione interpretativa di significato o dalla proiezione di nuove narrazioni storiche, e sposta l’attenzione su un dialogo tra Pompei e un archivio personale di immagini attraverso cui l’artista riflette sulla rappresentazione. I fotogrammi, corredati da sottotitoli, si collocano su uno sfondo di immagini stratificate che riguardano l’archeologia della sfera domestica, la sua rappresentazione e la sua messa in scena, presentando immagini reperite online che hanno fatto parte della ricerca, nonché importanti riferimenti cinematografici, opere passate dell’artista e fotografie personali.
Condividendo per la prima volta il suo archivio personale, Holman attinge al suo costante interesse per il rapporto tra figura e spazio costruito (e viceversa), ma anche per la dimensione politica della sfera domestica. Si riconosce il backstage di film precedenti di Holman, come Moment (2022) e Moment 2 (2022), dove lo spazio domestico e la sua patinata messa in scena diventano uno spioncino attraverso la dimensione della memoria.4 Gli screenshot del thread di twitter di Forensic Architecture sulla distruzione di un sito archeologico a Gaza sollevano ulteriori domande sulla memoria individuale e collettiva e sulla sua conservazione e tutela. Tra i riferimenti cinematografici, vi è una selezione di immagini tratte da film come Mon Oncle (1958), North By Northwest (1959), LA Confidential (1997), The Big Lebowski (1998) e Parasite (2019) in cui linguaggi architettonici modernisti particolarmente impeccabili, soprattutto in inquadrature legate agli ambienti domestici, sono utilizzati come scenario per commenti sociali e per rappresentare la lotta di classe. L’architettura domestica modernista nei film è infatti sempre di più stata identificata con i personaggi maligni, poiché questa bene incarna la freddezza del potere e l’oppressione. 5 È interessante notare che anche la pittura di Holman parte da fotogrammi di film e programmi televisivi, che ritraggono momenti in cui tutti gli attori – in particolare personaggi neri e lesbiche – escono dalla visuale della macchina da presa, consentendo una visione senza restrizioni degli spazi domestici messi in scena. Come ha dichiarato l’artista: “Ciò che mi interessa è che in questi scatti il set diventa una controfigura dei personaggi, sollevando domande sulla personalità, la soggettività e l’oggettività. I personaggi sono sollevati dal peso della rappresentazione, poiché il set diventa un loro sostituto. In questo modo, i dipinti diventano una sorta di ritratti astratti, scollegati da un corpo visibile. Questa posizione postula l’assenza come un atto di rifiuto a partecipare a processi di mercificazione, poiché opera contro l’incentivazione alla facile lettura tipica del capitale, di cui si avvale anche la ritrattistica”.6
Analogamente, i fotogrammi presentati in primo piano per Framing Pompeii catturano un’inusuale assenza delle tipiche folle di turisti. Nonostante il loro realismo, questi appaiono silenziosi in maniera perturbante, e risultano fuorvianti in quanto appartengono ad un’opera filmica ancora da realizzare. L’approccio cinematografico è incorporato nell’elaborazione delle inquadrature, scattate dall’artista nel gennaio 2024 a Pompei durante la visita di Casa dei Vettii, Casa di Paquio Proculo, Casa degli Amorini Dorati, Villa Oplontis e Casa del Frutteto. Con il loro effetto sbiadito e le domande aperte incorporate nei sottotitoli, che attingono a riflessioni sulla sfera pubblica e la sfera privata, queste immagini appaiono come un tentativo contro ogni facile lettura. Ne emerge una Pompei opaca e difficile da liberare dagli strati di mediazione che si sono accumulati nel corso della storia. Allo stesso tempo esse sono indicatrici di una quiete che offre un momento di silenzio per l’intrinseca assenza di vita che aleggia su Pompei; una quiete che vuole essere uno sguardo interiore, un’alternativa all’estroverso e allo spettacolare, e un cenno di assenso ad una sfera domestica pregna di significato politico. CA


1 Eric M. Moormann, The Appreciation of Pompeii’s Architectural Remains in the Late 18th and Early 19th Century, in “Architectural Histories”, 6(1): 24, pp. 1–1, pubblicato il 27 dicembre 2018.

2 Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia, 1816.

3 Luigi Gallo, “Des réalités d’autrefois et un cratère plein de mystère par dessus”. Architetti francesi a Pompei, 2015, in Massimo Osanna, Maria Teresa Caracciolo, Luigi Gallo, a cura di, Pompei e l’Europa (1748-1943), pp. 345-351, Mondadori Electa, Milano, 2015.

Moment Moment 2 sono installazioni video di Deborah-Joyce Holman a uno e due canali in cui due performer (Rebecca Bellantoni e Imani Mason Jordan) recitano senza sosta per nove ore brani tratti da Portrait of Jason (1967) di Shirley Clarke, film cult del Cinéma Verité.

5 Chad Oppenheim / Andrea Gollin, Lair: Radical Homes and Hideouts of Movie Villains, Simon and Schuster, 2019.

6 Note personali dell’artista sulla sua opera pittorica.

 

1-11. Immagini:

Primo piano:

Deborah-Joyce Holman
Freeze Frames 2-8 & 10-13, 2024
fotogrammi digitali
Courtesy l’Artista

Secondo Piano:

Immagini di ricerca, 2024
Courtesy l’Artista

 

Immagine in home page: Deborah-Joyce Holman, Freeze Frame 11, 2024. Courtesy l’Artista.

 

Deborah-Joyce Holman (1991, Basilea, Svizzera) si occupa del rapporto tra culture visive popolari e capitale, e le politiche di rappresentazione interconnesse. Holman contrasta il potenziale di sfruttamento del modo in cui le immagini entrano in collisione con il capitale con un approccio di sovversione artistica e cinematica, di ripetizione e di rifiuto, utilizzando diversi mezzi di comunicazione quali video, scultura e pittura. Mostre personali si sono tenute a: Galerie Gregor Staiger, Zurigo (2023); Cordova, Barcellona (2022); Istituto Svizzero, Palermo (2022); Schwarzescafé, Luma Westbau, Zurigo (2022). Opere dell’artista sono state esposte anche a: Institute of Contemporary Arts, Londra (2022); Centre culturel suisse, Parigi (2022); The Shed, New York (2021); House of Electronic Arts, Basilea (2021); 7a Athens Biennale, Atene (2021); Yaby, Madrid (2021); Centre d’Art Contemporain, Ginevra (2021); La Quadriennale di Roma (2020); Fondation d’entreprise Pernod Ricard, Parigi (2019); Auto Italia, Londra (2019); Oslo 10, Basilea (2017) per citarne alcune. Dal 2020 al 2022, Holman ha lavorato come direttorǝ associatǝ di Auto Italia, Londra. Ha fondato e diretto 1.1, una piattaforma per artisti emergenti nelle arti visive, nella musica e nelle pratiche basate sul testo, con uno spazio espositivo a Basilea, Svizzera, attivo tra il 2015 e il 2020; ha inoltre curato le edizioni 2018 e 2019 delle mostre collettive annuali per il festival delle arti e della musica Les Urbaines, a Losanna, presentando lavori recenti realizzati da più di 15 artisti internazionali.

Pompeii Commitment

Deborah-Joyce Holman. Framing Pompeii

Digital Fellowship 10 09•05•2024